Film considerato perduto fino a pochi anni fa (il critico Alberto Pezzotta non lo recensiva nemmeno nel suo bellissimo “Castoro” dedicato a Bava), con la fama di essere uno delle opere più squallide e alimentari di Bava. Giudizio che non cambia se si guardano certe oscene versioni che circolano del film, con scene tagliate, altre posticce, colori slavati e il più orrido dei widescreen mai visti. Se invece si guarda una versione nel giusto formato e con i colori intatti, beh, l’opinione può cambiare di molto…
E’ infatti un amabile piccolo western dell’epoca pre-leoniana, dal ritmo secco e veloce. Niente a che vedere con i futuri “spaghetti”, anzi Bava va esattamente nella direzione opposta rispetto al realismo polveroso dei nostri western. Sembra infatti fare di tutto per accentuare un’aria da film girato in studio (anche se poi assurdamente è stato girato tutto in esterni!), riempiendo il film di cactus palesemente finti, montagne dipinte, rocce di cartapesta. Non solo non nasconde, ma in certi momenti sembra voler sottolineare l’aria povera da cinema di provincia, tra costumi di simpatica ingenuità e attori di quarta scelta (ma molto ben diretti e in parte). Insomma, dirige con mestiere ed eleganza classica un falsissimo western americano. Di italiano c’è giusto l’ambigua figura del protagonista, che non è esattamente uno stinco di santo.
E’ un reduce della guerra che si traveste da soldato per rapinare una banca, ma tradito dalla banda con cui si era alleato, viene soccorso da dei soldati veri, così gli tocca recitare la commedia e comportarsi eroicamente durante un attacco indiano.
Di personale Bava ci mette diversi tocchi di classe a livello di fotografia: il blu delle divise di uno squadrone di soldati uccisi in tono con i fiori viola e rossi del fosso in cui giacciono, falò giallissimi, cieli saturi di blu elettrico, caverne rossastre, rami contorti in primo piano, fantasiose e coloratissime iconografie indiane, orizzonti spagnoli “arricchiti” da tipiche catene montuose americane dipinte in realtà su un vetro.
Ma il regista ci mette anche qualche tocco di stramberia autoironica (tipo un bandito in lacrime perché usano i suoi capelli per fare dei baffi per un travestimento), ed è un peccato: si fosse preso più sul serio - come nelle maggior parte dei suoi horror - poteva uscirne qualcosa di più del piacevole filmetto che è.
Comunque sia, infinitamente meglio del suo secondo e ultimo western, quello sì insalvabile e squallido: il comicarolo e volgarotto “Roy Colt e Winchester Jack”.