Avevo 7 anni quando accadde quella tragedia e ne ho un ricordo incredibilmente vivido. Ero con mia mamma e lei non credeva ai suoi occhi, cercava di mandarmi via ma io restavo anche se non capivo bene cosa stavo vedendo.
Era tutto molto surreale, è uno dei ricordi più forti che ho di quell’età. Ricordo lo sguardo di mia mamma, terrorizzato e allibito, e la voce di Pizzul che io trovavo in qualche modo rassicurante anche se davvero non capivo cosa stava realmente succedendo lì allo stadio.
Quando Pizzul annunciò il numero dei morti con voce strozzata ricordo il sussulto di mia mamma ed io che continuavo a non capire. Anzi, a dire il vero si venne a creare un piccolo circuito nella mia mente che, per assurdo, durò per qualche tempo.
In quel momento, chissà perché, pensai che alla fine doveva essere normale andare allo stadio e morire. Avevo fatto quest’associazione malata che mi accompagnò per almeno un anno, finché non ne parlai con qualcuno che mi spiegò com’erano realmente le cose. Non so nemmeno spiegare bene questa storia, nella mia mente è chiara ma non so se riesco a raccontarla come dovrei.
Poi ricordo che alla fine la partita si giocò ma io non ne vidi nemmeno un secondo, anche perché si giocò piuttosto tardi, almeno per me. Ma il giorno dopo chiesi subito chi aveva vinto, chissà perché quel risultato mi interessava così tanto. A quell’età non mi interessavo ancora di calcio, c’era soltanto mio padre che mi parlava di Gigi Riva e di Albertosi, che io vedevo come figure mitiche, anzi, persino mitologiche. All’epoca il Cagliari era in B, non ricordo particolare entusiasmo attorno a quella squadra (personalmente iniziai a seguirlo intorno ai 10 anni, con la promozione dalla C1 alla B e la vittoria della Coppa Italia di C).
Quindi chissà perché mi interessai a quella partita, al risultato, dico.
Ricordo poi le immagini dei festeggiamenti dei giocatori in campo, mostrate rapidamente nei TG, la coppa, le interviste ai giocatori sudati.
È un ricordo molto surreale. Sono passati trent’anni e ho ancora tutto impresso nella mia mente.
Da una parte ricordo un gran parlare del dramma, di questi inglesi definiti come “bestie”, dei morti, dei parenti disperati e dall’altra invece ricordo la coppa “che tornava in Italia dopo la notte del Bernabeu”. Non sapevo minimamente cosa volesse dire ma veniva detto spesso e quindi mi rimase impresso.
Ricordo anche i giornali dell’epoca, sia quotidiani che settimanali. Ricordo le foto dei tifosi schiacciati, dei corpi stesi in terra ma anche quelle dei giocatori sul campo e della coppa che continuavo a trovare rassicuranti e che, assurdamente, giustificavano il tributo di sangue che c’era stato.
Ultimamente mi è capitato di vedere la registrazione della terribile diretta dall’Heysel, con il povero Pizzul che cercava in tutti i modi di dare un senso alla sua presenza in quel momento di follia. Mi ha fatto molta tenerezza e l’ho ammirato tantissimo per la professionalità con la quale ha gestito quella situazione ai confini della realtà. La sua voce sconsolata, l’imbarazzo per non poter essere utile ai parenti e agli amici rimasti a casa che aspettavano notizie dei loro cari allo stadio… La sua voce incrinata al momento dell’annuncio dei morti, certe pause dolorose nella sua cronaca… Davvero struggente.
Qui trovate l’integrale della diretta:
E qui la puntata de La Storia Siamo Noi che ricostruisce quella giornata di follia:
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