Le avventure di Pinocchio (1936) e il Pinocchio di Naburo Ofuji

Sperando di fare cosa gradita, pubblico i risultati di una ricerca che ho fatto sul Pinocchio animato del 1936. Nel testo sono presenti anche riferimenti al Pinocchio di Naburo Ofuji realizzato pochi anni prima e mai distribuito:

La storia del “Pinocchio” del 1936 resta forse la vicenda più intrigante, se non altro perché si tratterebbe del primo lungometraggio d’animazione italiano e, forse, del primo lungometraggio realizzato in animazione tradizionale e a colori in assoluto. In realtà, si parlava anche di un “Vita di Mussolini” del 1927 in bianco e nero ad opera di Guido Presepi. A parlarne fu per primo Zangrando nel suo celebre “L’Italia di cartone” [10] e in seguito ne fece menzione anche Rondolino [11].
Ci darà maggiori informazioni a riguardo Verger in un suo articolo:
Vista l’esperienza che andava acquisendo, Presepi fu il primo a tentare in Italia la strada del lungometraggio realizzando, praticamente da solo, nel 1927, Vita di Mussolini. Prodotto dalla Compagnia “Lo Spettacolo”, il film, della durata complessiva di oltre un’ora, metteva in luce la mentalità forse allora troppo anarchica di Presepi, il quale, dopo aver realizzato gran parte del film non trovò approvazione da parte dei finanziatori che ne impedirono il proseguimento. Rimasto deluso dalla cattiva impresa, dopo qualche anno abbandonò l’attività dei disegni animati e continuò ad occuparsi di cinema e di teatro.” [12]
Anche in questo caso si tratta tuttavia di informazioni spesso poco attendibili o frammentarie. Non ci è dato sapere con certezza se il film sia mai stato iniziato o completato. Verger stesso mi raccontò che i parenti di Presepi non erano a conoscenza di questo progetto di cui in qualche modo negli anni si prese a parlare. Documenti a riguardo restano al momento irreperibili.
“Gec” Gianeri, nel suo fondamentale libro sull’animazione che contiene anche numerosi e “misteriosi” fotogrammi riguardanti il Pinocchio del 1936 e che ne parla come se lo avesse effettivamente visto, ci parla di un “Pinocchio” animato ancora più antico realizzato nel 1932 su suolo giapponese ad opera di Naburo Ofuji:
“Strano a dirsi, il primo tentativo di Pinocchio Disegno-Animato fu un Pinocchio orientale con gli occhi a mandorla, e fiancheggiato da un Geppetto mongolo, una Fatina dai Capelli Turchini dal sapore di soave geisha, un Pescatore Verde dall’aria di barbuto samuraj [scritto con la j]. La Cinematografia Nipponica pensò infatti di debuttare nel Cartone Animato, nel 1932, con un film sulle vicende dell’immortale burattino.
Il “Pinocchio” giallo fu, per i suoi tempi, il più lungo metraggio del Disegno Animato. Venne iniziato nel 1929 e costò ben tre anni di lavoro assiduo e meticoloso. Fu completato soltanto nell’ottobre 1932 ed aveva richiesto l’opera di ben 52 raffinati disegnatori sotto la guida di Noburo Ofuji, allora alle sue prime esperienze. Il “Pinocchio” nipponico, oltre ad essere il primo lungometraggio animato, si può considerare anche come il primo Disegno a colori in quanto, se non tutto il film, almeno alcune scene di esso erano state suggestivamente colorate grazie ad uno speciale procedimento chimico. Il film, che si divideva in tre parti, fu lanciato con grande successo di interesse e di critica nel dicembre del 1932.” [13]
Fino ad oggi non si sapeva molto di questo film. Qualche critico dell’epoca parlò molto bene dell’opera in questione e si spinse anche a considerarlo notevolmente superiore al film realizzato da Walt Disney nel 1940. Qualche studioso ipotizzò un sequestro dell’opera da parte della censura [14] e, in effetti, un articolo di Bosio apparso su La Stampa di Torino conferma definitivamente questa tesi:
“L’anno scorso una casa nientepopodimeno giapponese, pensò di girare un film su Pinocchio: pare che oggi questa pellicola sia stata ultimata, ma non essendosi la Casa messa preventivamente d’accordo per la cessione dei diritti d’autore del libro, né avendo voluto ora acquistarli, il film è stato giustamente fermato.” [15]
Se il film è stato ritirato dalla censura per ragioni di diritto d’autore, potrebbe ancora esistere in qualche archivio. I diritti d’autore su Pinocchio incisero probabilmente – oltre alla mancanza di collaboratori e finanziatori – anche sull’opera di Attanasi del 1935, probabilmente iniziata ma non portata a termine, e quasi sicuramente anche sul cortometraggio realizzato da Ugo Amadoro con protagonista un «bizzarro fantoccio elastico, originalmente buffo» simile a Pinocchio ma che non lo cita esplicitamente, realizzato con la tecnica delle shilouettes e del quale attualmente non ci è dato sapere molto di più. [16]
Luca Mazzei riporta in un suo importantissimo studio che a questo punto:
“i diritti per la riproduzione cinematografica vennero ceduti da Enrico Bemporad all’Enac e da questa alla Caesar (Film) il 3 maggio 1929 per un periodo che andava da quella data al 31 dicembre 1940.” […] “La Caesar di Barattolo dichiara che realizzerà due film: Mimì bluette, fiore del mio giardino e, per l’appunto, Pinocchio. Per questo ha anche messo su un concorso con la rivista «Kines», destinato ad identificare gli attori protagonisti. […] Le notizie sono ovviamente confermate dalle pagine di «Kines», dove il concorso, che è annunciato sul n. 28 del giugno 1931, si dichiara definitivamente chiuso (con l’invio del plico con i dati dei concorrenti alla ditta) sul n. 42 del 18 ottobre 1931. E’ ben notare però che, sia negli articoli dedicati a Kines in questo periodo al proprio concorso, sia in altri negli stessi numeri o in quelli precedenti comparsi non esiste riferimento alcuno ai film che gli attori così scelti andrebbero ad interpretare, né al programma stesso della casa di produzione.” [17]
Oggi tutti gli studiosi sono concordi nel considerare il progetto della Caesar-Film (o Cesar Film) un progetto destinato a essere interpretato fin dall’inizio da attori in carne ed ossa. Tuttavia esistono testimonianze contrastanti in merito. Tanti studiosi del passato (da Gianeri a Savio, solo per citarne alcuni) parlano di un primo tentativo di lungometraggio d’animazione italiano su Pinocchio prodotto proprio dalla Caesar che avrebbe riunito gli illustratori del “Marc’Aurelio” sotto la guida del tanto citato Umberto Spanò (alias Umberto Spano). [13] [18] Gianeri parla di un film molto diverso da quello tentato in seguito dalla C.A.I.R, un lungometraggio nel quale “solo pochi quadri avrebbero dovuto essere a colori” e nel quale “i disegnatori si sforzavano di differenziarsi graficamente dal famoso cliché di Attilio (Mussino)”. La tesi troverebbe conferma nelle parole di disegnatori che presero parte alla successiva produzione C.A.I.R. (a partire da Ennio Zedda). Anche Paola Pallottino parla di una scenografia (“Il Paese dei balocchi”) firmata da Mario Pompei per un Pinocchio animato del 1931, sebbene sul numero di “Scenario” in questione non si faccia esplicito riferimento né a un lungometraggio d’animazione né alla Caesar-Film. [19]
Mazzei cita un testo di Maria Jole Minicucci nel quale si parla di una lettera della Bemporad recapitata all’ufficio romano della MGM del 26 gennaio del 1933 nella quale si dice che la Caesar non poteva più dar atto al suo progetto cinematografico riguardante Pinocchio e Bosio, nel succitato articolo, sembra chiarire definitivamente come andarono le cose:
“Circa quattro anni fa all’inaugurazione della Caesar-Film rinnovata, l’onorevole Barattolo aveva annunziato un Pinocchio da girarsi con attori in carne ed ossa, ma con costumi e ambienti sapientemente stilizzati. […] La sceneggiatura dovuta, se non erriamo a Febo Mari ci dissero che era piena di gustose trovate. Gran parte degli attori erano stati scelti, Mario Pompei aveva disegnato le scene, i mobili e i costumi, il tutto veramente con molto buon gusto e sapore. Anzi il giorno dell’inaugurazione in un teatro trovammo alcuni ambienti già montati, ma poi, come capitò spesso a questa Casa, tutto andò a monte e gli ambienti montati servirono, convenientemente truccati, ad Amleto Palermi per girare alcuni quadri del primo film di Emma Gramatica: La vecchia signora! (uscito nelle sale nel 1932)”
Non è possibile purtroppo recuperare articoli o materiali dell’epoca nei quali si parli esplicitamente di un progetto così ambizioso ed importante come quello di un lungometraggio animato anteriore a quello della C.A.I.R. e i resoconti dell’epoca parlano da subito di un film Caesar concepito “con attori in carne ed ossa”. L’idea di un lungometraggio animato “del 1935” anteriore all’esperienza C.A.I.R. pare dunque il frutto di un errore. Bosio descrive nel medesimo articolo la corretta ubicazione della C.A.I.R. che subentrò alla Caesar:
“Così i diritti d’autore per tutto il mondo delle avventure di questo celebre burattino […] sono stati ora comprati dalla C.A.I.R. […] Barbara ci conduce a visitar questo nuovo stabilimento. Entriamo in un vecchio portone di una viuzza accanto all’Università, quel portone da cui si entra anche per salire al loggione del Teatro Valle. Al terzo o al quarto piano ci fermiamo davanti ad una porta con tanto di CAIR scritto ben chiaro su una lucida targa.”
L’autore dell’articolo conferma la paternità dell’opera dei fratelli Bacchini dei quali cita anche due film a cartoni animati conclusi (“Dalla terra alla luna” e “La morte ubriaca”, all’epoca non ancora usciti in Italia ma distribuiti all’estero dove avrebbero avuto successo), parla di un possibile coinvolgimento del Maestro Umberto Giordano per le musiche (che sarà poi sostituito da Romolo Bacchini per questioni probabilmente di budget) e cita i noti illustratori e disegnatori che presero parte al progetto.
A Ottobre dello stesso anno, tale M. G. parla di una lavorazione “quasi giunta al termine”, precisa che si tratta di novanta minuti di film e che il colore sarà realizzato mediante il sistema Catalucci. Spiega inoltre che il film sarebbe stato un “preludio” alla produzione di tanti altri cortometraggi a colori con protagonista Pinocchio. [20] Questa tesi è sostenuta anche da Agorient in un articolo del 1935 che compare su “L’Italia Marinara”.
In questa sede si parla anche di “ogni esclusiva della C.A.I.R. per l’adattamento, la figurazione, riduzione e rappresentazione di Pinocchio [di Collodi]” e parla di una distribuzione del film in Francia, Germania, Spagna e America. Si parla inoltre di un “Pinocchio che s’improvvisa menestrello e che graziosamente canterà una bella romanza, mentre la danza delle faine sarà di grande comicità”. [21]
A Luglio del 1936 le prospettive sono rosee e un po’ ovunque si parla di un’uscita imminente, probabilmente nell’inverno dello stesso anno. Il 18 Luglio del 1936 viene dato l’annuncio che il film sarà presentato ufficialmente a Buenos Aires:
“Sotto la presidenza dell’Ing. Cervini e la direzione tecnica di Tito Sansone, si è costituita in questa capitale la ditta Latina Film, che ha lo scopo di presentare pellicole italiane scelte fra quelle che hanno elevato carattere artistico e che rispondono, soprattutto, al nuovo ritmo della vita italiana. La Latina Film ha stretto contatto con la U.N.P.P., l’organismo sorto a Roma alle dipendenze della Direzione generale della cinematografia, per l’esclusività nel Sud-America di tutta la produzione italiana. Saranno così rappresentate, tra le altre, le seguenti pellicole: Scarpe al sole, Le avventure di Pinocchio, Lorenzo De’ Medici, Ginevra degli Almieri, Ballerine, Re Burlone, L’Africano.” [22]
Questo non significa che il film sia stato effettivamente terminato e presentato, tuttavia ci dà abbastanza certezze circa la fase di lavorazione avanzata del film. La distribuzione internazionale è quella dei De Vecchi e nel corso di tutto l’anno 1936, su tutte le riviste di cinema dell’epoca, compaiono fotogrammi e locandine che parlano di un’uscita imminente del film. Già nel Novembre dello stesso anno l’entusiasmo pare tuttavia scemare.
La rivista lo Schermo scrive “I De Vecchi han promesso da tempo un Pinocchio” [23] e La Stampa (ma non solo), che aveva seguito con grande entusiasmo la lavorazione del film, non ne fa menzione per tutto l’anno 1937 mentre dal 1938 comincia a parlare con entusiasmo del progetto di Walt Disney, che nel frattempo si sarà assicurato i diritti sull’opera. [24] [25] Il 5 aprile 1938, il nostro M. G. de La Stampa è piuttosto esplicito: del nostro Pinocchio “non si è saputo più nulla”, quindi verosimilmente non è mai stato ultimato né distribuito. Lo stesso giornalista parla anche di precedenti tentativi isolati per ciò che concerne il lungometraggio animato tutti “caduti nel vuoto”. Anche per “Vita di Mussolini” e per altri simili tentativi dell’epoca cadono dunque le speranze. [26] Nel 1939 lo stesso giornalista ne parla come di un film definitivamente naufragato:
“Che colpa ne ho io, e ne hanno i nostri produttori, se italiano è stato quel grande scrittore che si chiama Collodi e ancora non lo è un uomo di cinema che le creature di Collodi sappia degnamente recare su di uno schermo? Bastasse volerlo, bastasse desiderarlo, tutti i problemi della nostra cinematografia si risolverebbero in quattro e quattr’otto: per risolverli, invece, c’è un solo mezzo: lavorare duramente” [27]
Mameli Barbara, uno dei collaboratori più prestigiosi del film, riportò nel 1992 in un’intervista realizzata da Mario Verger che la lavorazione del film fu piuttosto travagliata a partire da una sceneggiatura inesistente e da condizioni di lavoro a dir poco dilettantesche e “pionieristiche”:
« Ad esempio, i registri per sovrapporre i fogli erano costituiti da due semplici pezzi di legno. Non vi erano attrezzature ed i disegni venivano ripresi uno per uno con una comune macchina fotografica, in modo molto impreciso. Non lo vidi mai completato. Ogni tanto portavamo qualche minuto in pellicola, ma poiché ballava tutto ho rinunciato a vederlo. Ad un certo punto, dopo un anno di lavoro, il film fu interrotto per mancanza di finanziamenti» [28]
Walt Disney, che si era interessato a Pinocchio già nel 1934 registrando questa sua “priorità” alla Motion Picture Producers and Distributors of America e che nel 1935 aveva annunciato questo progetto alla stampa, già dalla fine del 1936 poteva dunque scendere in lizza per i diritti sul libro e dal 1937 inizia a lavorare alla sua versione cinematografica. [29] [30] Nel 1936 si ribadisce in un articolo che i diritti sono “esclusivamente” in mano alla C.A.I.R. e dunque per il momento Disney dovrà rinunciare al progetto. [31] Il contratto si chiuderà solo nel Giugno del 1938.
A questo punto le tracce di questo “italianissimo” lavoro si perdono. Bono in suo recente lavoro cita un articolo di Don Carlo Gnocchi intitolato “Oltre il cinema” e apparso sulla rivista Mammina dell’Agosto 1939, nel quale si parla ancora del film italiano come se effettivamente fosse stato realizzato. Gli altri giornali invece non ne fanno più menzione e parlano solo dell’imminente uscita del capolavoro Disney. Nel medesimo saggio, Bono riporta le drammatiche condizioni firmate dalla C.A.I.R. in favore della Disney nel 1938:
“La CAIR recede dal contratto stipulato con Bemporad che viene rigirato alla Disney, rinuncia a ogni sua pretesa presente e futura su Pinocchio e acconsente a distruggere tutto il materiale, disegnato e girato, realizzato fino a quel momento e questo a fronte di un indennizzo di 370.000 lire”. [32]
Tali condizioni non sono purtroppo in contrasto con quanto affermato da Verger, ovvero che “Raoul Verdini avrebbe tentato in un secondo momento di portare a termine il film da solo, cercando di trasformarlo a colori con il succitato sistema Catalucci, tuttavia non riuscendo nell’intento”. L’impresa sarebbe infatti datata al 1936, anno nel quale la C.A.I.R. si era ritrovata a corto di finanziamenti ma ancora vincolata con Bemporad.
Il film sarebbe dunque stato distrutto. Non è escluso tuttavia che qualche collezionista o, più verosimilmente, qualche personalità coinvolta economicamente o artisticamente nella produzione del film, con l’impegno di far sparire per sempre i suddetti materiali, possa aver preservato il frutto di due anni di un duro e ambizioso lavoro.
Inoltre, la nota affermazione riguardante la possibilità che Walt Disney possa in qualche modo essere entrato in pieno possesso dei materiali del film trova qualche conferma e non è poi così priva di fondamento come si credeva. Oltre a Verger che aveva probabilmente riportato questa “voce” dopo avere avuto la possibilità di incontrare e di intervistare Mameli Barbara, altre fonti contribuiscono ad avvallare questa tesi.
Ennio Zedda (1910-1993), che prese attivamente parte alla realizzazione del film, conferma in un’intervista realizzata da Silvia Pompei nel 1985 che il film C.A.I.R., nonostante fosse pubblicizzato fin dall’inizio come un lungometraggio a colori, venne girato invece in bianco e nero e solo in un secondo momento ci si sarebbe posto il problema del colore. Ci informa inoltre che una colonna sonora doveva essere stata realizzata poiché i riferimenti “sonori” per i disegnatori erano esplicitati e che esisteva una sceneggiatura (anche se probabilmente si trattava più di un canovaccio). Il primo tempo del film era stato completato e aveva richiesto ai pochi collaboratori (una trentina di persone) due anni di duro e incostante lavoro. Nel momento in cui la C.A.I.R. chiuse i battenti, la prima parte del film era già stata montata a sincrono con musica e dialoghi e si stava lavorando al secondo tempo, che Verdini avrebbe poi tentato di ultimare da solo. Le trattative tra Walt Disney e l’oscuro finanziatore del film, tale Avvocato Todaro (ma altre fonti citano invece gli avvocati Aldo Alboretti e Giuseppe Busala come intermediari) vengono descritte esplicitamente:
“Piuttosto non capisco cosa avranno fatto dei nostri 50.000 disegni. Hanno preteso il materiale, era nel contratto. Hanno ripagato tutte le spese all’avvocato, le spese di cui si lamentava sempre. […] [L’avvocato Todaro] dopo il primo tempo del film, che era stato ultimato, ha sospeso tutto il lavoro. Disney ha voluto tutto. Hanno portato via casse di roba comprese le pizze dei film e Disney o lo studio Disney ha ripagato l’avvocato abbondantemente, in più gli hanno dato altri soldi. L’avvocato era molto contento [data la situazione fallimentare]. Si profilava con il film una dispersione di soldi mai vista. […] A Verdini di questo non era stato detto nulla inizialmente. Tutta la cosa è stata fatta dicendo a Verdini che facesse una pausa, che mettesse in riposo i disegnatori, che dopo quindici giorni si sarebbe ripreso il lavoro. Verdini intanto era andato avanti con le scene. […] L’avvocato Todaro fu contattato da Disney direttamente e gli chiese chi aveva i diritti del cartone. Lui rispose che li avevano lui e lo stesso Verdini. Disney fece questa proposta e Verdini non ebbe poi nulla da obiettare [poiché sulla lavorazione del film erano nel frattempo sorte polemiche e persino un caso giudiziario] ed ebbe successivamente l’ordine di consegnare tutto, celluloidi, pizze, fino all’ultimo disegno.” [33]
La testimonianza di Zedda non esclude tuttavia che i materiali possano essere andati definitivamente distrutti. Si limita a dire che “gli americani” portarono via (o fecero portare via) tutti i materiali ma si chiede anche lui che fine abbiano fatto.
Un articolo apparso su La Stampa nel 1968, in occasione della produzione del Pinocchio di Cenci, risulta meno drastico e lascia intravedere qualche speranza:
“L’ultimo [Pinocchio] fu quello iniziato da un gruppo di vignettisti collaboratori allora del giornale umoristico “Marc’Aurelio”: Verdini, Attalo e Barbara. Disegnarono e animarono varie sequenze, però i loro stili erano troppo diversi e i quattrini cominciarono ad un certo punto a scarseggiare, per cui il lavoro non solo fu interrotto ma ceduto, con i diritti sulla realizzazione per il cinema della immortale favola, a Walt Disney che ne ricavò un Pinocchio tutto suo, cioè molto americano e poco collodiano.” [34]

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Sicuramente l’avrai specificato nella nota, che qui non è riportata, ma questo “celebre” libro è stato scritto a quattro mani da Zangrando e Piero Zanotto. E’ ingiusto non citare anche il giornalista veneto (scomparso recentemente). Zanotto era un bravo poligrafo in àmbito cinematografico, grande esperto di cartoni animati, e soprattutto di cinema di montagna. E’ stato anche uno dei primi in Italia a scrivere una storia del cinema dell’orrore e di fantascienza.

Forse sarebbe bene attenuare un po’ tutte queste iperboli - parlo da lettore. Intervento molto interessante, peraltro. Dovresti consultare la stampa periodica e quotidiana dell’epoca - non Stampa e Corriere che è facile consultare online, ma testate d’epoca oggi abbastanza trascurate dalla ricerca storica.

Sull’iperbole concordo. Sul fatto di avere consultato la stampa online ho fatto con tutto ciò che mi è stato possibile reperire (online e cartaceo). Sicuramente ci saranno tante altre fonti. Lo scopo era quello di mettere “ordine” tra le fonti reperibili che talora riportavano informazioni apparentemente contrastanti. Già questo è stato un lavoraccio. Per la ricerca ancora più certosina su periodici e quotidiani dell’epoca dispersi in varie biblioteche concordo ma tali ricerche mi richiederebbero tempi e costi che al momento non posso permettermi di sostenere. In futuro chissà