L'Intrepido (G. Amelio, 2013)


http://www.imdb.com/title/tt3074784/

Stranissimo questo film di Amelio del quale non avevo peraltro mai sentito parlare finché l’altra sera non l’ho registrato da Sky.
Abbastanza indecifrabile come genere, girato e fotografato molto bene, con un bravo Antonio Albanese e nulla più. Perché i personaggi di contorno sono terribili (in particolar modo la ragazza e il figlio) sia per le loro caratterizzazioni che per certi dialoghi che declamano con un’enfasi meritevole di miglior causa.
È una storia vagamente surreale sul precariato visto da un punto di vista anomalo: quello di un cinquantenne che si adatta a fare qualsiasi lavoro sostituendo chi è costretto ad assentarsi per qualche ora o qualche giorno, senza mai lamentarsi e con uno spirito onesto e positivo.
Un film strano, non brutto ma certamente non riuscito in pieno. Amelio caratterizza con molto amore il personaggio del protagonista ma trascura tutti gli altri che appaiono solo come effimere macchiette.
Un po’ stucchevole la citazione di “Ladri Di Biciclette”

Ambientazione milanese, per gli appassionati di location.

Premettendo che, come si usa dire, la copertina non fa il libro, questa locandina è qualcosa di totalmente anticinematografico, indegna e irrispettosa di un serio uomo di cinema come Amelio.
Sembra dire agli spettatori: c’è Albanese, punto e basta, che vi sia sufficiente per venire a vedere il film.

Verissimo però, per assurdo, ha il suo perché dato che il mezzo sorriso di Albanese ha il suo valore nel film e lo ha persino la sua posizione mentre si volta a guardare indietro…
Poi sul fatto che la locandina sia orrenda e che non invoglierebbe nemmeno la mamma di Albanese ad andare a vedere il film direi che siamo tutti d’accordo.

Non ho visto il film, ma la locandina è agghiacciante. Davvero sintomatica dello stato del cinema italiano contemporaneo. Si piazza una faccia e stop. Al massimo, nei film corali, si mettono i 6-7-8 personaggi principali tutti belli sorridenti con sopra il titolo scritto in rosso. Ce ne sono a dozzine di manifesti così, tutti italiani e tutti usciti dal 2004 in poi, grossomodo.

È lo stesso discorso che facevo nel thread di uno dei film di Zalone.
Ed è lo stesso discorso che facevo col grande Enzo Sciotti, molto amareggiato per i manifesti odierni.

Io l’ho visto in DVD e l’ho trovato piuttosto deludente, da Gianni Amelio mi sarei aspettato molto di più.
L’approccio surreale a mio parere mal si adatta alla tragedia del precariato. Le situazioni proposte nel film spesso scadono nella farsetta. Il film non commuove, non indigna, non lascia il segno. Avevo riscontrato gli stessi limiti in un film sotto certi aspetti simile, Giorni e nuvole di Soldini, sempre con Albanese.

Sembra che il cinema italiano, un tempo capacissimo di coniugare impegno civile e spettacolo, sia incapace di affrontare questi temi in modo convincente.

ammettiamo che il 99% delle locandine odierne sono orribili

Questo è il dato reale: le eccezioni di locandine curate in un anno si contano sulle dita di una mano credo. Comunque il declino è cominciato dalla seconda metà degli anni 80, quando le foto degli attori hanno cominciato a sostituire i grafici e gli illustratori, non solo qui in Italia, anche se da noi probabilmente lo scadimento, considerando i vari artisti nostrani con la A maiuscola che operavano nel campo della cartellonistica cinematografica, l’abbassamento di qualità è stato anche maggiore.

Tornando al film: anche a me era passato del tutto inosservato, ma dopo le vostre recensioni non mi è certo venuta voglia di recuperarlo :smiley:

Ad ogni modo vedendo la locandina mi ha colpito una cosa: ma il font del titolo non è ripreso “paro paro” da quello de L’Intrepido, ossia il celebre settimanale per ragazzi?

Sarà stata una cosa voluta? Oppure il grafico che l’ha approntata per far presto ha dato una sbirciata su internet e, visto il font della testata, ha fatto copia e incolla? Il dubbio, considerando il livello “artistico” della locandina, mi pare lecito :smiley:

Credo che Amelio stesso abbia ammesso la “citazione” dall’omonima pubblicazione. In quanto al film: non l’ho visto, ma quasi tutte le recensioni lette erano molto tiepide. Del resto, ho l’impressione che Amelio sia da diversi anni ormai in ribasso, come riuscita dei suoi film. Peccato, perchè “Porte aperte” e “Lamerica” rimangono sicuramente fra i migliori film italiani degli ultimi 30 anni almeno, opere davvero memorabili. Sul manifesto: quoto praticamente gli ultimi interventi, a partire dalla seconda metà degli anni '‘90 c’è stato un vero “tracollo”, come qualità delle locandine. Una volta, erano spesso meglio di certi film che pubblicizzavano. Ora, tante volte bei film hanno manifesti che non invogliano minimamente ad andare a vederli. Specie, guarda caso, film italiani…
P.S. La rece più spassosa (e magari veritiera…) l’ha scritta Mazzarella su “Linus”, l’anno scorso. Afferma che durante la proiezione a cui era presente, a Milano, dopo un’ora circa un anziano spettatore se n’è andato via, borbottando "Ma va a cagher te e l’‘intrepido’!". Vox populi…

un dato negativo del film, a mio gusto e parere, è la lentezza estenuante. Albanese, che è uno che di solito si contiene a fatica, piuttosto esuberante e fisico nel suo modo di essere, qui ha un’impostazione (certamente voluta da Amelio) rarefatta, distillata, centellina le parole in un discorso facendo passare qualche secondo tra l’una e l’altra (vedi il monologo al parco con la vecchietta in carrozzella, il top dell’esasperazione). Pare stordito. Viene voglia di farsi un caffè. Certo la confezione è molto elegante, ma alla fine, oltre alla storia piccolina di un omino piccolino, non rimane molto altro.

Terribile. Non sono riuscito nemmeno a finirlo.

Lento, illogico. A Milano, nel 2013, quasi tutti quelli che incontri per strada parlano il dialetto. Ma dove cazzo ha vissuto Amelio negli ultimi 40 anni? Su un albero? In una grotta?

E poi: quanto mi sono rotto i coglioni di questi film italiani nei quali o si sussurra, o si strilla. Con attori giovani incapaci e/o maldiretti (il figlio, la ragazza suicida).

Che pena.