Live (Bruno Bigoni e Kiko Stella, 1984)

Un film che vuole sperimentare senza essere sperimentale.

Col pretesto di una trama gialla (un uomo entra per caso in possesso di una statuetta di inestimabile valore rubata ad un museo, una gang lo bracca per recuperare la refurtiva) i due registi esordienti approfittano per fare un film che cerca di rinnovare il linguaggio ed i contenuti del cinema di genere. In un canovaccio ordinario compaiono come dei fugaci lampi delle situazioni surreali ed estemporanee, come gente che si teletrasporta, scazzottate slapstick in stile cartone animato o riavvolgimenti di pellicola. Il tutto è imperfetto, credo che gli stessi autori lo sapessero perfettamente, l’intento era quello di esplorare nuove possibilità e non quello di padroneggiare magistralmente il linguaggio e la tecnica ordinari.

Un gusto per la ricerca di location particolari porta i due autori ad ambientare una sequenza addirittura in mezzo alle suggestive formazioni rocciose delle piramidi di Zone.

Grande attenzione per le musiche che inglobano alcune tra le più caratteristiche sperimentazioni sonore anni '80, tra Tuxedomoon e Kinsk, new wawe e italodisco acida alla Jo Squillo (ma ancora più acida!)

Purtroppo la fotografia (a cura di Fabio Cirifino dello Studio Azzurro) è molto buia e l’unico passaggio televisivo noto (a La7, nel ciclo di La 25° ora dedicato ai film che avevano usufruito dei finanziamenti dell’articolo 28) usa un master parecchio scuro; il risultato è che in molte sequenze si capisce poco di quello che è in scena.

Da segnalare una fugace apparizione di un giovane Claudio Bisio con ancora qualche residuo di capelli e una sorta di emulo di Italo Vegliante che si cimenta in una interpretazione mimico-pernacchioso-pseudocanora della durata di diversi minuti.

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