laddove vailati s’abbandona ai canonici giochi delle tre carte con due false e una vera che contraddistinguono e determinano i mondo-movies, lo spericolato duo americano spera che ritorni presto l’era dello squalo bianco e gioca una partita diametralmente opposta, abbandonando tutti i codici del cinico cinema vérité (locandina e frasi di lancio fuorvianti e proditorie come al solito), scontornando bluff, sensazionalistica realtà romanzata e siparietti weird d’avanspettacolo sexy subacqueo, alla volta di un rigoroso studium dell’animale, che troveranno solo in australia dopo aver solcato ogni mare, monitorandone usi e costumi in relazione all’habitat. monitoraggio che avviene forse un po’ troppo da vicino, sin da pagarne il fio (le crude foto delle ferite di rodney fox sono l’unico momento peso del metraggio, comunque rilasciato anch’esso senza divieti).
anche sul fronte della cura estetica, vailati viene lasciato indietro di qualche oceano: una fotografia che ha del pittorico, gusto per l’inquadratura calibrata, techné di lusso. se non si ha il bernoccolo dell’ittiologia e si cerca solo della sana sharkploitation si rischia la ciafagna ed è meglio rivolgersi a zio bruno. anche accostandovisi con aspettative sbagliate, si è comunque ripagati da squarci di grande suggestione visiva e non mancano momenti di indubbio interesse.
dopo una prima nel marzo del 72, il film si riaffacciò nei nostri schermi nel 76 per fare coro a spielberg vailati e quilici.