Beccato finalmente! Mai visto. Perché mi sa non facile da vedere. Ne lessi la recensione sul DizionHard che arriva a definirlo “semisconosciuto”, ma anche “il miglior film porno mai girato in Italia”, “tra quelli che presentano accoppiamenti con animali, il film meglio realizzato della storia del porno”. Tutti coperti da criptici pseudonimi ideati al momento (anche Rocco Siffredi) tranne il professionista tutto d’un pezzo Bob Malone. Compare tal Mafalda De Montis… curioso di capire chi è. Non vorrei mai credere sia questa in basso…
Alto grado d’interesse of course!
Aspetta… lasciatemi riprendere dallo shock… già nell’87 (o era l’88?) giustamente non rientrava nella categoria “film per tutti”. Astenersi deboli di cuore, dovevano aggiungere. Innanzitutto è d’uopo complimentarsi vivissimamente col regista, in una fase in cui ormai in molti non facevano che proporre infiniti amplessi del genere “visto uno visti tutti” a go-go infischiandosene delle regole elementari del cinema propriamente detto lui si preoccupa e si sforza di stupire con la sua classe. E, cari miei, ci riesce alla stragrande. Perché è un vero signore, per la potenza delle immagini con quello che ha fra le mani potrebbe metter su almeno 2/3 film, invece convoglia tutto in un dramma appassionante impostato davvero con la cura e la tecnica di un film tradizionale, à la “Sueca bisexual necesita semental”. Parrebbe ispirarsi al classico “L’amore e la bestia” (e secondo Rocco D’Amato sul DizionHard anche a “L’inferno di una donna” - titolo originale Through the looking glass) ma calca la mano in maniera inconcepibile sul versante animal toccando un livello verosimilmente ineguagliabile fra le produzioni italiche. Girato - pare - nel perugino, ottenuto il nulla osta in data 18 dicembre e distribuito dalla Simon Film situata a Corinaldo (AN) con ogni probabilità sarà stato proposto al cinema per Natale '87, accompagnato da pregevole manifesto realizzato a mano.
Come di consueto è una famiglia di stampo borghese quella in cui arriva ad annidarsi il vizio e avvengono le bravate peggiori. La storia ripercorre i turbamenti di Jennifer (Marie Christine Veroda che appare sulla cover della VHS), donna ultraquarantenne elegante e curata ossessionata dal ricordo del suo educatore passato a miglior vita (Rocco) al quale fu affidata alla morte del padre e di cui è ancora follemente innamorata. Il marito, architetto, è molto comprensivo ma non smette di sfotterla davanti a una coppia di amici invitati a cena - due attori sconosciuti che come lui non sono impegnati in azioni esplicite - perché “esalta un po’ troppo il suo defunto istitutore. Sparisce per delle ore. Era astemia ma ha preso a bere, a volte esagerando”. Le gioverebbe fare un viaggio, cambiare aria, Jennifer che mal sopporta di essere presa in giro su questi argomenti ribatte di star bene lì, ci ha vissuto da sempre in quella casa e una volta coricatasi rifiuta le avances del consorte. Non farà la stessa cosa la cameriera (Valerie Siddi) con l’autista (Malone) proprio sotto gli occhi della padrona che li spia da dietro la porta; la performance, stimolazione orale con cascata finale sul viso, vanta una certa originalità di esecuzione: la donna usa solo la bocca per slacciare la cintura, abbassare la lampo, stuzzicare la preda nascosta ancora sotto gli slip, stanarla e …
La voce dell’istitutore rimbomba nella sua mente, la chiama, le promette “qualcosa di nuovo, di straordinario”, di farle conoscere “il profumo del peccato”, Jennifer sale una lunga scala arrivando in cima all’abitato, si chiude in una stanza con un grande specchio, annusa e bacia un vecchio vestito appeso nell’armadio, sedutasi su una sedia a dondolo ripensa al lavoro di bocca della cameriera e prende a toccarsi freneticamente fra le cosce. Ecco che appare Rocco, prima infila l’indice, poi due dita, tre, tutta la mano… “Non ci sarà nessuno all’infuori di te” sussurra lei, ma il sogno ad occhi aperti svanisce poiché i gemiti della donna richiamano l’attenzione della servitù accorsa nel timore di un eventuale malore. L’architetto esce per andare al lavoro, Jennifer lo avvisa che una volta tanto è intenzionata a raggiungerlo alle 13:00 per pranzare assieme al ristorante, la cuoca (Greta Sugar, identificata sul DizionHard come la De Montis) approfitta di quell’inconsueto spazio di libertà. Anche troppo. Chiama il suo pastore tedesco che arriva di corsa e si fionda sul lettone, l’animale è su di giri, sembra aver capito come andrà a finire e non riesce a contenere l’entusiasmo. Ad accusarlo di essere “uno sporcaccione” è proprio colei che prima si fa leccare nelle parti basse e poi passa a ricambiare il favore. A lungo e pure in posizioni diverse. Nulla è lasciato all’immaginazione e non ci sono trucchi, tutta l’interminabile sequenza è ripresa in modo altamente professionale senza indugi anche per l’eccezionale partecipazione, disponibilità e “spigliatezza” del cane, sale sulla padrona disposta gattoni poiché intenzionata a farsi addirittura penetrare e sembrerebbe montarla fino allo sgocciolio finale.
Oddio! Mai visto nulla di simile, davvero per palati raffinati…
Jennifer ritorna a dialogare con lo specchio, fa cadere la vestaglia, si dispone a 90 con le natiche in bella mostra e mormorando che nessuno l’ha mai presa lì (dove non batte il sole) pensa lei ad infilarci progressivamente le dita fino ad arrivare a un numero di quattro. Così facendo però ovviamente non va più a pranzare col marito, l’uomo capisce che ha avuto un’altra delle sue crisi. Chiamata di nuovo dalla voce torna su, rivive la sua prima volta, moriva dal desiderio che fosse col suo educatore e così fu: Rocco la spoglia lentamente, la possiede con veemenza e le spara una raffica di piacere impiastricciandole tutto il viso.
Qui la protagonista rimane in piedi in un angolo della stanza e lo stallone di Ortona interagisce con un’altra attrice (Lola Montres), Jennifer da giovane.
L’entità palesa la sua natura malvagia (capelli all’indietro e occhi cerchiati, un vampiro per intenderci) e la sprona a tornare quella stessa notte all’1:00 ma la donna declina l’invito. Alla fine ci va, è chiaro, il fischio del vento mette il gelo nelle ossa, accompagnata da un organo poco rassicurante in sottofondo stavolta raggiunge i sotterranei, lo spirito si manifesta, allo schiocco delle sue dita appare uno splendido destriero…
Cosa succederà prima del “lieto” fine?
Se vi piacciono le emozioni forti correte a vederlo!
Il potenziale “divertimento” che scaturisce dalla visione di questi tentativi di fusione perfetta tra specie diverse riscontrabile in pellicole del tipo “Marina e la sua bestia” dove la proboscide equina è vistosamente finta (oltre che troppo grande) qui lascia senza dubbio il posto allo sconcerto. Il regista liquida velocemente le altre sporche faccende, pur dimostrando fantasia e una certa propensione per il laido, e concede ampissimo spazio a quelle più tremende come anche alle fasi di raccordo e alle parti dialogate garantendo una visione tutt’altro che ipnagogica e colpendo davvero duro. Per esibire in pubblico la sua creatura si avvale di un occhio esperto nell’arte della fotografia che risponde al nomignolo di Thomas Turbato, di ben tre attori impegnati al di fuori delle scene hard (interessante riuscire a stabilirne l’identità, una sarebbe Catherina Zago), usa parsimonia con le musiche firmate da Peter Mounty (per gli amici Peter Asta) ma sa bene come inserirle a sottolineare i passaggi in cui la tensione aumenta, non ha a disposizione delle grandi bellezze, unico neo del film, bypassa potendo contare sulle capacità professionali da specialiste di due attrici estremamente disinvolte ed esageratamente spregiudicate, una nella sua fame canina, l’altra nel maneggiare e suggere con soprannaturale ingordigia l’abominevole appendice da maneggio. Una volta tanto non ci si rammarica per l’assenza assoluta di una spolveratina di humor, voluto o involontario che sia, non c’è posto per il trash, neanche Siffredi truccato alla Christopher Lee fa ridere, è una immonda love story porno-junghiana di autodistruzione nel tentativo disperato e impossibile di congiungersi con l’amato. Non lo si scorda facilmente. Il merito di tutto ciò sarebbe di Alessandro Perrella (che si firma A. P. Spinelli) sempre secondo il DizionHard, l’unica - insieme a questa - sede dove troverete qualcuno disposto a parlarne. Stando infatti alle scarsissime informazioni finora disponibili questo gioiello rischia seriamente di essere rimasto ad appannaggio esclusivo di soli (e forse anche pochi) spettatori domiciliati in quella regione geografica situata nell’Europa centro-meridionale costituita da una lunga penisola che si estende verso sud-est nel Mediterraneo delimitata a nord dalla catena delle Alpi.
Ah! Già! Scusate… magari qualcuno era interessato al gioco delle somiglianze, sì, insomma a capire se l’identità dell’attrice che interpreta la cuoca sia quella insinuata da Rocco D’Amato… Dio ci perdoni, quella il cui nome campeggia sul disco coi bambini… facciamo così, l’altra volta mi avete mangiato perché ho scambiato Gabriel Lotar per Claudio Campiglia, non sono bravo con le similitudini a quanto pare… fate voi allora…
La protagonista del film di Perrella è in realtà Sophie Fibelle, ex consorte di Mario Salieri, nel DizionHard erroneamente identificata più di una volta come la collega Marie Christine Veroda.
Peter Mounty, in alcune pellicole di D’Agostino come Peter Asta, era il compianto Piero Montanari, oltre al cinema bassista dalla lunga carriera al fianco di Pino Daniele, Romano Mussolini e Sergio Caputo, fra gli altri.
La bionda di cui sopra è ovviamente Mafalda De Montis, ben nota alle cronache piemontesi tra partecipazioni scandalistiche a scioperi o arresti per oscenità.
Il film venne prodotto dalla Simon Film che, come dissi da qualche parte, era di Ivano Luigino Brizzi (undici anni prima aveva prodotto Torino violenta di Ausino), all’epoca compagno di Antonella Simonetti, a cui la società (attivissima anche nell’home video mediante il marchio Overseas) era intestata.
C’è un mistero sulle date della realizzazione. Perrella aveva rivelato a “Luce rossa” che il suo primo hard era stato in realtà Supersex supertransex super, ma che quest’ultimo era potuto uscire solo nel 1990. Questa dichiarazione mi ha lasciato sempre dubbioso, perché generalmente il suo esordio viene considerato il film di questo thread (che dovrebbe essere stato girato nel 1987). Purtroppo non ci vengono in soccorso i documenti del Ministero e della Siae (che non ci sono).
Aggiungo al post di Carlitos che la società madre di Brizzi era la Lark Cinematografica (con cui svolgeva l’attività nel cinema mainstream, ad esempio con il citato Torino violenta), mentre la Simon Film (società che era quasi “nascosta”, avendo sede in provincia di Ancona ed essendo amministrata da un suo familiare) era la società con cui agiva nel cinema porno, soprattutto come distributore.