OBBLIGO DI GIOCARE - ZUGZWANG (Daniele Cesarano, 1989)

OBBLIGO DI GIOCARE - ZUGZWANG
Produzione: 1989 - Italia, Regia: Daniele Cesarano
Sceneggiatura: Daniele Cesarano, Ugo Pirro, Daniele Senatore
Interpreti: Kim Rossi Stuart, Sonia Petrovina, Andrea Prodan, Nicoletta Della Corte

Marco, uno studente, assiste per caso all’assassinio di una coppietta e decide di pedinare l’assassino che si muove su una bicicletta nera. È spettatore incredulo di altri delitti, ma non denuncia l’accaduto alla polizia, vittima ormai di un’angoscia ossessiva.

Esordio alla regia di Daniele Cesarano (futuro Head of Drama per RTI SpA – Gruppo Mediaset), Obbligo di Giocare è un altro di quei titoli misteriosi (e dunque rarissimi) del giallo/thriller italiano di fine anni '80-inizio '90.
Non fa notizia il fatto che sia quasi introvabile, però qualcuno magari lo ha visto e saprà aggiungere qualcosa all’esigua trama che ho trovato in rete.

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in realtà è uscito per la Panarecord in vhs (cod. 270089)… sulla Baia si trova a prezzi non proprio nazionalpopolari

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Meno male ho scritto “quasi introvabile”… Grazie al tuo suggerimento ho visto che in effetti vendono una copia in vhs a 30/35 euro: sarà anche una rarità, ma un prezzo del genere è comunque folle e totalmente over-budget per quanto mi riguarda. Peccato davvero perché sembrava un film interessante e diverso dal solito copione erotic thriller che andava di moda in quegli anni.

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Mi ‘puzza’ tanto di Articolo 28.

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Confermo.

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https://liberailibri.com/zugzwang-mossa-obbligata-ronan-bennett/

Nel 2009 è uscito un libro con lo stesso titolo. Ovviamente nulla ha a che fare perché si svolge a San Pietroburgo nel 1914.

Ho visto su pic-clic un tizio che vende la videocassetta a €30. Magari sarà stata una di quelle cassette che quando chiusero le videoteche gli ex noleggio te li tiravano dietro.

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Torno con grande piacere a commentare qui visto che finalmente ho avuto l’occasione di guardare il film. Allora, stiamo parlando di un thriller dalla palese vena autoriale e l’influenza di Antonioni aleggia in maniera persistente: architetture dechirichiane, una Roma spersonalizzata e “deserta”, dialoghi ridotti all’osso e minimalisti (nessuna battuta per i primi dieci minuti), il contrasto fra ciò che si vede e ciò che si pensa di vedere, l’alienazione personale, il potere senza volto del capitalismo (le scene al supermercato) e infine il tema del “pseudo-doppio”, cardine di una trama retta quasi esclusivamente dalla mimica e dalle misurate azioni del protagonista Kim Rossi Stuart. Suo contraltare, uno spietato e cinico assassino, inevitabile e involontaria sua nemesi fino al drammatico epilogo dove solo uno di loro continuerà il percorso…
Sarà anche un film “da articolo 28” ma sinceramente mi ha colpito e lo ritengo uno dei titoli più interessanti (e perché no, ambiziosi) nel panorama thriller italiano di fine anni '80, dove la televisione aveva ormai assunto il monopolio (Brivido Giallo, Alta tensione) e i film stavano piegando verso una scialba deriva erotic thriller poi approfondita -in peggio- nel decennio successivo.
In sintesi, Obbligo di giocare - Zugzwang è un prodotto che meriterebbe una riscoperta e una maggior considerazione da parte degli appassionati del filone qui in esame; a mio giudizio, lo ribadisco, un lavoro sorprendente e assolutamente promosso.

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È questo il punto, perché intellettualizzarlo? È un giallo! Voleva mettere il tocco di autore lui che autore non era, non è mai stato e mai sarà (fatto sta che la sua carriera pressoché finita lì). Sono queste cose che hanno allontanato il pubblico dal cinema italiano.

@rodar tu l’hai visto?

Si, lo noleggiai a suo tempo. Allora noleggiavo qualsiasi cosa.

Ti ho chiesto perché il tuo giudizio sembra un po’ aprioristico e prevenuto. Perché un giallo a priori non può essere intellettualoide? Magari esce una cosa strana, particolare, diversa, affascinante.

Ma se l’hai visto… I gusti sono gusti, non posso contraddirti. Io tra l’altro non l’ho ancora visto

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Ma magari fosse stato diverso e affascinante. Come ti posso spiegare, l’ho trovato frenato. Come se il regista avesse paura di osare troppo e perciò usava l’alibi dell’intellettualismo per darsi un tono. Per non essere troppo ‘popolare’. In pratica questi registi non comunicavano più col pubblico, ma tendevano a farsi delle allegre pippe mentali

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