Avendolo visto dopo che tutto il mondo lo ha visto, sono arrivato davanti allo schermo con delle aspettative megagalattiche, mi avevano inculcato nel cervello che avrei visto il film definitivo. E non l’ho visto, il film definitivo. Ho visto un film abbastanza divertente, visivamente spettacolare, nostalgicamente evocativo per quanto riguarda la mia adolescenza a base di Trider G7, Getter Robot, Gundam e compagnia positronica. Ho anche visto un film però estremamente misero nel delineare i suoi personaggi, figurine stereotipatissime e insulse, una trama di due paginette di sceneggiatura, ed una certa ipertrofia che dopo una novantina di minuti poteva darsi un limite, ed invece porta avanti la baracca fino al 131esimo minuto (perché oramai se fai un film che sta sotto i 90 sei un povero parvenu senza arte né parte).
La giapponese con le ciocche di capelli turchese, i russi ti spiezzo in due, i cinesi cestisti, il comandante nero (pardon, marshall), gli americani atletici, gli scenziati ironici e svalvolati, Pacific Rim - a mio parere - è la fiera dei tipi da videogame; al confronto Ken, Ryu, Zangief e Chun-Li erano personaggi della letteratura russa. Sotto questo aspetto, per quanto sia comprensibile la necessaria “leggerezza” di una pellicola del genere, Del Toro non ha veramente perso troppo tempo nell’approfondire i suoi personaggi; c’è una cura infinita nei robottoni, inversamente proporzionale a quella infusa nel rendere minimamente dignitose e credibili quelle sagome bidimensionali che scorrono sullo schermo e che sarebbero addirittura “attori”. I dialoghi a tratti sono raggelanti; tipo il discorso gasa e spacca del Marshall che deve guidare i suoi soldati al macello finale, dura due secondi ed è quanto di più trito e vuoto si sia mai registrato in tanti anni di onorato militarismo su celluloide. Ed il bello è che dopo qualcuno accorre anche a complimentarsi per il bel discorso. E il fusto spaccone che porta il cane al guinzaglio per la base? Pare una campagna pubblicitaria di qualche brand di abbigliamento fashion chic per maschi testosteronici che non devono chiedere mai. Sono uno che si sciroppa senza colpo ferire Invasion U.S.A. o Cobra, quindi non è che voglia fare il discepolo spocchiasnob di Jane Campion nell’approcciarmi a questo film, però a tratti c’è proprio il vuoto pneumatico.
Le immagini sono di una spettacolarità assoluta, niente da dire, il lavoro estetico è superlativo, e da questo punto di vista Pacific Rim ha sicuramente istutuito un nuovo canone, come a suo tempo lo ha fatto Il Signore degli Anelli per il fantasy, o Matrix per la fantascienza new age complottara; tuttavia, nonostante ci si perda nella meravigliosa accuratezza dei dettagli tecnologico-ingegneristici, Pacifc Rim ha poi delle ingenuità banali. Ad esempio: quando nelle profondità oceaniche, al cospetto della terribile faglia che collega i due universi in lotta, uno dei robottoni jaeger lascia detonare una bomba nucleare di millemila miliardi di cazzigliardi di megatoni (tant’è che quella bomba avrebbe dovuto addirittura sigillare per sempre la faglia) e, a fronte dell’esplosione e della immensa onda d’urto che provoca, un altro robottone nelle immediate vicinanze resiste a tutto semplicemente ancorandosi con la spada sul fondale. Oppure quando la giapponese Rinko, tutta bardata con la pesantissima armatura da pilota di jaeger, si butta con nonchalance in acqua per raggiungere la capsula del compagno appena riemerso, e nuota come se indossasse giusto un costumino Billabong.