[LEFT]PELLE DI BANDITO (1969)
Regìa: Piero Livi
Interpreti: Ugo Cardea, Giuliano Disperati, Mavì Bardanzellu, Matteo Macciocco, Arrigo Antona.
Soggetto e sceneggiatura: Livi/Asti/Carzedda/La Bruna
Produzione: Smeralda Film
Formato video: 1,85:1 letterbox b/n
Audio: italiano mono originale
Durata: 100 minuti ca.[/LEFT]
La faida rovina la vita a Mariano De Linna (Ugo Cardea, la cui somiglianza ad un giovane Grazianeddu Mesina è notevole), un giovane pastore cresciuto in un paesino nella Sardegna degli anni '50/'60. Alleatosi con l’ex legionario e disertore spagnolo Pedro (Giuliano Disperati), evade dal carcere, ripara in Supramonte e forma una banda di sequestratori riuscendo a diventare quasi un mito popolare. Ma una vita dura e l’impossibilità di portare avanti relazioni affettive normali, mineranno le sue convinzioni.
[LEFT]“Con Pelle di bandito mi proposi di raccontare, attraverso la storia di un giovane diventato bandito per obbligo alla vendetta com’era nel codice d’onore della sua gente e poi, al soldo di ignoti personaggi, datosi ai sequestri di persona, una pagina esemplificatrice di una situazione di fatto. Non un film-inchiesta ma semplicemente una storia di uomini veri in un mondo vero.” (Piero Livi)[/LEFT]
[LEFT]Della serie: “come si diventa bandito”.
Il film di Livi è uno di quelli a tesi: lo sfruttamento operato dai ricchi padroni a danno del popolo gli si ritorce contro. E i poveri pastori sono praticamente costretti a trasformarsi in simil-Robin Hood e darsi alla macchia per sfuggire alla miseria della loro esistenza, tirare a campa’ e mandare avanti le proprie famiglie. Ma non è sempre tutto così lineare nel film di Livi: i bambini sembrano gia avere in sé, a livello genetico, il germe della ribellione e della violenza, generazione dopo generazione. Mariano De Linna (linna=legno in sardo: fa subito venire in mente un “burattino di legno” i cui fili sono manovrati da un destino crudele) ormai adulto, ad un certo punto della sua storia si riconosce - in una sorta di deja-vu per lo spettatore - nello sguardo e nell’atteggiamento “da duro” di un bambino. In pratica, il regista isolano s’ispirò, per questo film, ai fatti del 1966 che videro per protagonisti l’ex-bandito orgolese Graziano Mesina e l’ex-legionario spagnolo Miguel Atienza, arrestato a Cagliari per un “banale” furto d’auto. E’ bene sottolineare il fatto che questa pellicola non sia una vera a propria biografia, piuttosto un racconto che trae spunto da fatti realmente accaduti che corre il serio rischio, però, di arrivare - in certi punti del film - a idealizzare e romanticizzare in maniera forse eccessiva (personalissima opinione) la figura del bandito.
La fotografia del film in un bel bianco e nero è di Aristide Massaccesi (Joe D’Amato!). Lo si intravede anche nei panni di un secondino.
Momenti di cinema:
Pedro/Disperati che fugge ferito a morte e seguito a pochi passi dalla camera a spalla (operatore lo stesso Massaccesi), in qualche modo anticipa di circa 30 anni lo stile utilizzato da Spielberg durante alcune fasi della lunga scena iniziale della battaglia di Omaha Beach in Save Private Ryan.
Scena-madre del film: durante una notte al bivacco, Pedro trova una stazione radiofonica spagnola in AM che trasmette un Flamenco. Lo spagnolo balla con gioia, vigore e probabilmente, anche un pizzico d’orgoglio per la musica della sua terra d’origine. “Adesso tocca a noi ballare”; risuona come una sentenza. I pastori-banditi spengono la piccola radio, non ne hanno bisogno. Fanno da sé la musica tramite i loro vocalizzi le cui origini risalgono alla preistoria. Anche il loro ballo ha qualcosa di particolare: un cerchio chiuso, stretto, fiero ma impenetrabile a tal punto che Pedro, divertito, cerca di unirvisi senza successo. Allegorìa di un popolo chiuso nel proprio mondo, nelle proprie tradizioni? Ecco emergere “gli indiani” ai quali Fabrizio De Andrè, anni dopo, dedicò un album dopo l’esperienza del sequestro condivisa con la moglie Dori Ghezzi…[/LEFT]