Professione: reporter (Michelangelo Antonioni, 1975)

The girl: “How can I help you?”

David: “How can you help me… Sounds crazy because I can’t explain it but there is someone following me”

The girl: “Another one?“

David: “No. The same man. Someone I don’t wanna meet”


La vicenda di questo film-capolavoro è abbastanza nota ma la riporterò brevemente anche qui: la durata della versione originale di Professione: reporter – quella ideata e voluta dal regista ferrarese, ammontava a ben quattro ore. La MGM gli impose notevoli tagli sino ad arrivare alle due ore e mezza. Questa versione (la versione europea) fu, seppur a malincuore, l’unica accettata e firmata da Antonioni, al contrario di quanto accadde per quella americana, ulteriormente decurtata in fase di post-produzione.

La vita di David Locke (Jack Nicholson) si è arenata nelle sabbie del (suo) deserto interiore. E’ possibile cambiare? E’ possibile fuggire da sé stessi, prendere possesso della propria esistenza e decidere del proprio destino? In una completa assenza di alternative, l’unica soluzione a portata di mano sembra essere quella dello scambio di identità: tentare di essere qualcun altro. Ma anche le vite degli altri cadono nelle stesse leggi e nelle stesse costrizioni: la somiglianza tra Locke e Robertson, infatti, è tanto straordinaria quanto scontata.

N.B.: il film inizia nel deserto africano e termina nel deserto spagnolo, a sottolineare ancora una volta il pessimismo di Antonioni in merito a una qualsiasi speranza di fuga che non sia data da quella estrema: la morte.

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