Questo film, che in Francia è un supercult sin da quando è uscito, ma che da noi è ancora quasi sconosciuto, è uno dei titoli più violenti in assoluto di tutto il cinema poliziesco europeo del ‘900. Per la violenza di certe sequenze sfiora addirittura l’horror. E’ necessaria una breve premessa.
Di solito gli studiosi trattano in parallelo, confrontandole, le carriere di José Benazeraf e di Max Pécas, considerati i due pionieri dell’erotismo francese. Ma mentre Ben proveniva da una storia di sinistra (anzi, comunista) che traspare talora anche in alcuni suoi film (per la verità in modo più declamatorio che sostanziale), Pécas è posizionato su idee molto diverse, se non opposte. In effetti, i suoi 8 film erotici, che ne hanno decretato la fama internazionale, fanno emergere - si potrebbe dimostrarlo ad abundantiam - una concezione nettamente moralista e retrogada del sesso, lontana anni luce dalla visione progressista che caratterizza molti altri registi cimentatisi nel filone sexy. Con il film poliziesco di cui parlo Pécas scopre le proprie carte e confeziona un’opera reazionaria al cui confronto i polizieschi italiani alla Mauriuzio Merli sono film da oratorio e i “giustizieri” di Charles Bronson personaggi quasi da operetta.
La trama è particolarmente intricata. Diciamo solo, anche per non spoilerare, che il film parte dall’omicidio a mitragliate di una transessuale, informatrice della polizia, e si sviluppa intorno a vicende di droga, prostitute, conflitti tra la polizia e i criminali. Detto così sembra normale amministrazione poliziesca, ma il film ha il suo DNA nelle scene di estrema violenza che lo caratterizzano. Il personaggio che si mangia il film è il sadico scagnozzo di un criminale greco (forse greco perché in sintonia con una presunta xenofobia dell’autore?). Un sadico omicida e torturatore, che ovviamente è frocio (nei film erotici Pécas aveva già espresso il suo disprezzo per altre deviazioni sessuali), e che non solo uccide e tortura a più non posso, ma gode letteralmente nel farlo (in una sequenza è evidente che ha un orgasmo dopo aver ucciso in modo ultra-efferato un avversario). La violenza verso le donne è espressa dall’autore in modo ambiguo, perché sembra sollecitare nello spettatore gli stessi istinti sadici e voyeuristici del suo personaggio. Non si contano le mani mozzate, gli occhi trafitti, gli uomini bruciati vivi. Il poliziotto-giustiziere, che agisce parallelamente alle indagini dei suoi colleghi, adotta gli stessi mezzi dei criminali, e non solo è visto con simpatia dall’autore, ma viene addirittura protetto dal suo superiore, che avendolo scoperto si guarda bene dal denunciarlo. Insomma, la visione della società che emerge dal film è apertamente reazionaria (non diciamo fascista, perché il termine è da decenni abusato). Ed è sorprendente che a 60 anni, con la carriera ormai alle spalle e dedito solo a girare scialbe commediole giovanilistiche (il suo ultimo film è del 1986), Pécas si sia inopinatamente presentato con questo polar anomalo e spiazzante, vero e proprio UFO del cinema francese di quegli anni.
L’attore Jean-Marc Maurel, che interpreta il sadico, ha una recitazione molto caricata ma che indubbiamente lascia il segno. In piccoli ruoli ci sono Brigitte Lahaie (che in quel periodo si faceva chiamare Brigitte Simonin) e, nella parte di un medico, quel Gilbert Servien che i cultori del cinema porno francese ben conoscono.
Esiste un doppiaggio italiano fatto per il passaggio in censura, ma l’edizione nostrana non è mai uscita né nelle sale né su alcun supporto video. Il titolo italiota è messo a casaccio: al centro del film non c’è una squadra omicidi ma la buon costume. Adesso circola anche un’edizione del film con sub inglesi e con una sequenza reintegrata. Chissà cosa avrebbe detto Benazeraf, che sembra non amasse particolarmente il suo collega, di fronte a questo film…