Requiem For a Dream (Darren Aronofsky, 2000)

Rivisto oggi questa pellicola che segue l ottimo, seppur inferiore, Pi. Ho voluto rivedere Requiem in attesa di vedermi The Fountain, perso a venezia, e del quale ho sentito parlare veramente in modi e maniera diametralmente opposta.
Gli spettatori di Requiem sono invece sempre, dalla mia esperienza, usciti entusiasti dalla visione. La caduta nel baratro di droga e disperazione di quattro personaggi, tre ragazzi e la madre di una di questi viene raccontata con escamotage e tecniche registiche che viaggiano parallelamente all’ossessione e al trip dei protagonisti. Immagini e suoni distorti non sono fini a se stessi, allucinazioni ed oggetti impazziti non sono atti a colpire basso lo spettatore, ma sembrano far parte di un programma preciso che mira non semplicemente a scioccare ma ammorbare chi guarda. Il percorso verso la pazzia. l annichilimento dei personaggi non è che un tassello della loro esistenza, già da tempo segnata dalla triste sorte che li attendeva: il sogno rincorso non è altro che una vita normale da una parte, qualche soldo, un lavoro ed un amore da vivere, e lo spezzare la routine dall altro. Il sogno di avere qualcosa per cui alzarsi la mattina è già crudele di per se. Ma nella società che circonda i protagonisti il cinismo, la morbosità, l inutilità e la disperazione sembrano essere malattie comuni a tutti; la lunga carrellata di personaggi minori non ha un connotato positivo: il pusher sessomaniaco, le guardie xenofobe e violente, le vecchiette come lobotomizzate sul ciglio della strada. Figure negative che calano la propria ombra rendendo la morbosità normalità. Il postino, che arriva sorridente e positivo, è portatore della lettera che da il definitivo fiat alla discesa negli inferi della donna. Un involontario cattivo insomma. Quattro personaggi che sono solo quattro zoom. Non sono l eccezione, ma sembrano normalità.

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Ottimo film. L’ho visto tempo fa e mi è tornata la voglia di rivederlo. Jennyfer Connelly è bravissima

Per me è un bel film sulle dipendenze (da qualsiasi cosa) e sul fallimento.
Non lo considero il capolavoro tanto acclamato da gran parte del pubblico ma trovo che abbia la colonna sonora piĂš bella degli ultimi anni (di Clint Mansell e i Kronos Quartet).

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Grandissimo film. Amarissimo ed un finale assolutamente spiazzante

La Connelly, poi, in questa occasione è di una semplice bellezza che lascia un pò cosÏ e cosà

Bellissimo film, splendido e tristissimo. Mi ha fatto l’effetto Mulholland Drive, sono stato male per giorni dopo… :frowning:

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Salve a tutti.
Io l’ho rivisto giusto l’altro ieri perchè ho visto the Fountain a Venezia ed ero rimasto con molti interrogativi nella testa.
La prima volta che lo vidi lo trovai un pò pretenzioso e purtroppo devo fare la voce fuori dal coro e confermare quell’impressione.
Al di là dei virtuosismi registici un pò fini a se stessi,mi pare che lo script sia povero.Inoltre la banda musicale (splendida effettivamente)dei the kronos Quartet è spesso usata a sproposito.
Vabbè,de gustibus…

Secondo il mio modesto parere, avendo visto tutti e 3 i film di Aronofsky di cui avete parlato (tra cui The Fountain tra l’altro perso a Venezia, ma recuperato al FataFestival di Sabaudia), ritengo che Requiem for a Dream sia l’unico capolavoro del regista americano.

L’ho appena re-visionato e l’impressione che mi lascia è la stessa che ho avuto alla prima visione:CAPOLAVORO ASSOLUTO.Altre parole sarebbero superflue.

Capolavoro assoluto. Film amarissimo ma veramente stupendo. é un vero e proprio pugno nello stomaco. Interpreti in palla (da applausi la Burstyn, che ogni volta che rivedo nel finale, distrutta dal suo malessere, mi mette i brividi)…
Colonna sonora capolavoro

Sono completamente d’accordo con te e provo la stessa cosa nella scena da te “spoilerata”.Pensare che il film ha ricevuto una sola nomination all’oscar e proprio per l’interpretazione della Burstyn che fu battuta da quel fenomeno d’attrice che è Julia “pritti uoman” Roberts per Erin Brockovich. :mad::mad::mad:

E’ un film che, all’epoca della sua realizzazione, si faceva fatica a trovare in Italia. Ne leggevo sulle riviste e bramavo di vederlo, poi finalmente arrivò su Tele+ e fu una rivelazione. L’ho visto diverse volte e poi ho comprato il dvd della dolmen (che in seguito regalai ad un amico sound designer, per la presenza dello special sulla creazione della leggendaria colonna sonora).

L’ho riguardato a distanza di anni, nel br Pulp, col timore di trovarlo invecchiato. Ma, al netto di alcune ‘trainspottingate’ e certi vezzi iperrealistici sia nel montaggio che nelle inquadrature, è un film che mi ha nuovamente entusiasmato e commosso, al punto da ritrovarmi con le lacrime agli occhi nel finale.

Al di là dell’etichetta di film sulle dipendenze, mi sembra una delle migliori opere degli ultimi vent’anni sul fallimento del sogno americano. Sulla tragicità di figli che vogliono dare soddisfazioni ai genitori, e invece affondano con loro in un mare di errori e rimpianti. Mi ha fatto male proprio per questo, l’ho sentito vero proprio nei suoi aspetti forse più scontati (penso all’immagine del prefinale di Marlon Wayans che, in prigione e in crisi d’astinenza, ricorda quando era bambino e sereno tra le braccia della madre, in una sublimazione dell’infanzia come unica possibile isola felice, come nella concezione di Jack Kerouac).

E’ un film curato nei minimi particolari, a partire dal casting fino alla già citata e strepitosa colonna sonora.
Generalmente trovo sempre a rischio i film del genere legge di Murphy, ma qui non sento nulla di programmatico o di moralistico, ma autentica tragicità inscenata però con grande estro e senza piagnistei.

Mi è venuta voglia di leggere il libro di Hubert Selby Jr dal quale il film è tratto.

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una zappata sui reni. l’ho visto “solo” tre volte, le prime due delle quali su grande schermo. e dopo ciascuna sempre contorcimenti di budella inauditi, stato depressivo durato giorni e una gran voglia di rivedersi in binge tutto heidi. la prima volta ho davvero rischiato l’attacco di panico del secolo. non so se controverificherò ma secondo me ancora oggi non è certamente una visione da prendere sottogamba.

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Rivisto a distanza di piÚ di venti anni, il film mantiene una potenza intrinseca enorme; il tempo è passato, il mondo delle sostanze si è evoluto ma le dinamiche della dipendenza sono sempre quelle, ed Arnofsky riesce a dipingerle in una maniera che non può non toccarti emotivamente.

A livello tecnico, durante la prima parte del film vengono saltuariamente utilizzati degli effetti speciali “analogici”, creati in parte in ripresa ed in parte in montaggio, che lì per lì sembravano quasi un vezzo stilistico, una volontà di citare e strizzare l’occhio alle avanguardie storiche ed ai pionieri del cinema muto. Ed invece, pian piano che la narrazione procede, queste soluzioni tecniche da forma diventano sostanza, aumentano di numero e di intensità, legandosi indissolubilmente all’escalation delirante di cui sono vittima i protagonisti, incarnando con la loro potenza visiva l’abuso delle sostanze e la percezione alterata della realtà che ne deriva. Fino ad arrivare al finale, che è tutto un’allucinazione dolorosa e psicotropa che distorce le percezioni ed annichilisce le volontà umane, rendendo i protagonisti vittime impotenti delle loro scelte pregresse, barche alla deriva in balia della tempesta, che vengono sbattute con violenza a destra e a manca ed infine risucchiate nell’abisso, conseguenza estrema della dipendenza. E qui la narrazione la fa tutta il linguaggio cinematografico, non serve una parola, non serve un commento o una didascalia, bastano le immagini assurde ed il montaggio allucinato a trasmettere la disperazione e l’impossibilità di una redenzione.

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