Senso '45 (Tinto Brass, 2002)

Tinto Brass
Un’orgia di citazioni

di Franco Grattarola

Annunciato da parte del regista come un grande affresco sull’Italia trasformista, che si apprestava a dismettere la sorpassata camicia nera per indossare l’elegante doppiopetto democratico, Senso 45, ventiquattresima regia di Giovanni (Tinto)Brass, è naufragato dopo pochi giorni di programmazione nelle sale, stroncato dalla critica e rifiutato dal pubblico. Ispirato alla stessa novella di Camillo Boito da cui Luchino Visconti mutuò il suo Senso (1954), Senso 45, che nel titolo cita direttamente l’illustre antesignano, è riuscito a deludere sia il pubblico voyeur che chi, come noi, ha sempre visto Brass come ultimo baluardo alla programmatica mediocrità di molto cinema italiano contemporaneo. A quasi vent’anni da La Chiave, film che risollevò le periclitanti carriere del regista e dell’allora splendida ultratrentenne Stefania Sandrelli, il ritorno nella natìa Venezia non ha giovato a Brass. La Venezia di Senso 45, caliginosa e piovigginosa, non ha niente a che vedere con gli scenari quasi irreali de La Chiave, o con i piacevoli intermezzi veneziani di Così fan tutte e Tra(sgre)dire. La cittadina veneta, infatti, in quegli anni turbinosi che precedettero la fine del secondo conflitto mondiale, è trasformata d’imperio dall’ex duce, ora a capo di un’entità statuale chiamata Repubblica Sociale Italiana, nella capitale della cinematografia fascista. Dopo la caduta del fascismo e la spaccatura dell’Italia in due, con a Sud la monarchia alleata con i nemici di ieri ed a Nord il fascismo repubblicano sempre fedele alla Germania hitleriana, una parte minima di Cinecittà si trasferisce, nel novembre 1943, a Venezia, in località Giudecca, dove il solerte ed efficiente Luigi Freddi, direttore generale per la cinematografia durante il fascismo e fondatore di Cinecittà, rimette in piedi, con il materiale fortunosamente sottratto al saccheggio tedesco (e italiano), la pretesa nuova Cinecittà. Il film di Brass si inserisce, appunto, in questa cornice e in questa temperie. E’ probabile che il veneziano Brass, classe 1933, abbia ricordi nitidi, come ha dichiarato nelle frequenti interviste precedenti l’uscita del film, di quel periodo della sua prima giovinezza o, altrimenti, sia un buon conoscitore della storia politico-cinematografica del triennio 1943-1945; in ogni modo, pensiamo che tutte le citazioni e i riferimenti storici contenuti in Senso 45, sfuggiti a critici attenti ad annotare con acribia la dissacrazione di Roma città aperta o i pensieri hard declamati stentoreamente dalla voce fuori campo della Galliena, meritino una disamina più puntuale, e critica quando ce ne sia bisogno, di quanto (non) sia stato fatto altrove.

Il teatro delle beffe e l’amante ministeriale

La prima sequenza a colori (Brass, con procedura inversa, colora il passato e scurisce il presente), quella ambientata a teatro, si apre non a caso con una duplice citazione, storica e cinematografica. L’irruzione di un comando partigiano durante la recita della commedia pirandelliana Vestire gli ignudi al teatro Goldoni, infatti, risponde quasi letteralmente alla realtà storica di un episodio accaduto a fine dicembre del 1944. L’unica variante è che i tre partigiani dei Gap, saliti sul palcoscenico prima della rappresentazione, grazie ad un interruzione di luce concordata con gli operai della centrale elettrica, costrinsero gli astanti, sotto la minaccia dei mitra, puntati su una platea pullulante di militi della Guardia Nazionale Repubblicana e della X Mas, a cantare in coro “Bandiera rossa” (“fra lo stupore e l’ammirazione degli spettatori”, postilla il fascista di sinistra Stanis Ruinas); mentre nel film di Brass i partigiani del Fronte della Gioventù (organizzazione giovanile comunista d’anteguerra) si limitano alla declamazione di un generico proclama e a un lancio di volantini. L’apparizione, sempre nella medesima e citata sequenza, dell’ufficiale delle SS impersonato da Gabriel Garko permette a Brass di menzionare, in un dialogo tra i pettegoli burocrati del Ministero della Cultura Popolare (Minculpop), il nome dell’attrice cecoslovacca Lida Baarova, notoria e conclamata amante del ministro della Propaganda tedesco Joseph Goebbels. La bella e piccante Baarova, nata a Praga nel 1914 e morta in solitudine nel novembre del 2000 a Salisburgo, allontanata dalla Germania da Hitler in persona, che non tollera lo scandaloso rapporto extraconiugale del suo fido ministro, approda in Italia nel 1942, e subito si distingue con due film che non lesinano certo la sua indubbia avvenenza. In Ti conosco, mascherina! (1943), commedia di Scarpetta portata sul grande schermo dai fratelli De Filippo al completo e diretta dal grande Eduardo, la Baarova mette il mostra, di profilo o scarsamente protetto da una superflua sottoveste, il florido seno, cosa che non mancherà di replicare, ma questa volta in un’esplicita inquadratura frontale, nel successivo La Fornarina (1944) di Enrico Guazzoni, ispirato alla vita della famosa modella di Raffaello. Scampata alle epurazioni del dopoguerra, grazie al matrimonio con un gerarca comunista cecoslovacco, la Baarova, dopo una breve parentesi argentina, ritorna, un po’ sfiorita ma sempre affascinante, sugli schermi italiani. Federico Fellini, con un colpo di genio, affida alla quasi quarantenne Baarova il ruolo di una moglie fedele, insidiata nella virtù da un amorale e viscido Franco Fabrizi, ne I vitelloni (1953), ultimo film degno di nota dell’attrice cecoslovacca.

Il regista, il gerarca, omaggi e citazioni facili

Cinema nel cinema, con lo stesso Brass nelle vesti del regista, assistiamo alla lavorazione del film di Flavio Calzavara Tradimento, girato nel giugno del 1944 e ribattezzato in seguito Peccatori, una delle prime produzioni della Cinecittà veneziana. La sequenza del film di Calzavara è ambientata in una sala cinematografica dove risuona il sonoro di Ossessione (1943) di Luchino Visconti; e, sul ciak inquadrato in primo piano, possiamo leggere il nome del regista e del direttore della fotografia Bruno Barcarol, operatore dei primi film di Brass. Omaggi e citazioni a cui il regista, per sua stessa ammissione, annette una grande importanza. Anche la visione di un tonitruante direttore generale della Cinematografia fascista-repubblicana, che imita quasi caricaturalmente il timbro di voce e le espressioni facciali dell’ex duce, figura ispirata al sopra citato Luigi Freddi, è troppo sopra le righe per fermarsi al di là di una manierata e scontata macchietta. La famigerata citazione-parodia dell’Anna Magnani mitragliata dai tedeschi in Roma città aperta (1945) di Roberto Rossellini, a cui Brass aggiunge la variante “sacrilega” dell’esplicita inquadratura in primo piano del sesso della morta, fa il paio con la rude sodomizzazione della Galliena da parte del biondo crinito Garko, che parafrasa, anche nei dialoghi anarchicheggianti e anti-autoritari, l’analogo incontro sodomitico tra Brando e la Schneider in Ultimo tango a Parigi (1972 ) di Bernardo Bertolucci. Citazioni “alte”, che non tengono conto, però, dell’autoreferenzialità a cui sono facilmente condannate, non solo dall’arcigna critica, ma da un pubblico completamente disinteressato, ahinoi, a citazioni, omaggi e abusate provocazioni. Ben più provocatoria, vista l’epoca ed il genere d’appartenza, era l’identica citazione di Roma città aperta che un cineasta oscuro e di piccolo culto come Luigi Batzella inseriva, quasi casualmente e senza esibizioni genitali di sorta, nell’incredibile porno-nazi La bestia in calore (1977). Certo, Brass di Rossellini è stato allievo, e le sue citazioni-omaggi, almeno nelle intenzioni, vorrebbero essere qualcosa di più di una goliardata, ma il risultato non è all’altezza della malcelata ambizione. Per non parlare degli altri omaggi, superflui e ridondanti, di cui il regista dissemina il film, dai baffetti alla Pavolini ( segretario del partito fascista repubblicano ed amante della prosperosa attrice Doris Duranti) di Branciaroli alle velette “alla Lana Turner” della Galliena, dai disegni osceni di Grosz alla lesbica sagomata sulle fattezze della spia di (ancora…) Roma città aperta, perdendo di vista, in questo gioco di specchi e di continui rimandi, il fulcro essenziale di una storia che, per quanto frusta e scontata, Luchino Visconti, quasi mezzo secolo addietro, aveva saputo trasformare in un algido e infuocato melodramma sentimental-risorgimentale.

Orge sibaritiche e coprifuoco

Brass, attingendo ai suoi ricordi d’infanzia, evoca le “ orge sibaritiche”, a base di champagne, cibi raffinatissimi e cocaina, a cui prendevano parte avventurieri, faccendieri, quattrinai e divi del cinema nella Venezia di fine guerra. Che la cosa fosse vox populi a Venezia, è testimoniato da un libello, critico-apologetico dell’esperienza salotina, scritto e stampato in poche migliaia di copie nell’immediato dopoguerra da Stanis Ruinas (pseudonimo di Giovanni Antonio De Rosas), giornalista e narratore nonché ossimorico ed eterodosso fascista di sinistra. Ecco la descrizione, nella prosa sferzante del Ruinas, di quei “coprifuoco” riaffiorati nella memoria di Brass:
“A Venezia e a Milano, ma specialmente a Venezia, erano stati inaugurati con successo[…]i “coprifuoco”.[…] La notizia dei coprifuoco era corsa anche tra la povera gente delle topaie di Castello, del Malcanton e di Santa Margherita. Se ne discorreva come di strani misteri, di tregende, d’orgie mai vedute né sognate. I coprifuoco eccitando la fantasia incuriosivano e tentavano come il frutto proibito. E le ragazze dalle facili letture, dai romanzi a dispense, passavano vicino ai palazzi del Canal Grande lanciando sguardi avidi e ingolositi. Ma insomma, che cos’erano questi coprifuoco? Erano così chiamati i pranzi e i festini che si davano appunto nelle ore del coprifuoco, ed erano in uso fra i ricchi borghesi, alcune famiglie aristocratiche e certi fascistoni.[…] Si riceveva e si pranzava in case ricche e principalmente nelle reggie del Canal Grande. Il pranzo aveva inizio alle 23, ora del vero coprifuoco. Dopo il pranzo si ballava, si giocava, si beveva e si faceva all’amore, fino alla cessazione del coprifuoco, alle ore 6 del mattino. Ciò che accadeva in questi ricevimenti aveva dell’irreale e ricordava le orgie più famose.[…] In quei ricevimenti c’era un’abbondanza rivoltante, uno spreco di tutto. Si cominciava cogli antipasti più rari, annaffiati con vini scelti, e si finiva con montagne di torte confezionate apposta e tra un mare di liquori. In un solo “coprifuoco” furono consumate, mi disse una contessa, sessanta bottiglie di liquori di marca straniera.[…] Intrippati e innaffiati fino alla gola, tutti quei signori e tutte quelle signore ballavano, giocavano, si eccitavano, e cantavano.” ( Stanis Ruinas- Pioggia sulla Repubblica, Ed. Corso 1946)
L’orgia sibaritica e falloforica, gonfia di cocaina e di copule, squadernata da Brass in Senso 45, riecheggia stancamente più il modello pedestre e ruspante del porno-nazi nostrano che non i gironi sadiani del Salò di Pasolini, più lo squallore di certi locali per logori scambisti di provincia che non una potente allegoria, come accadeva in Salon Kitty e Caligola, sull’anarchia del potere. Nelle descrizioni del fascista di sinistra Ruinas, imperniate di un acre moralismo, c’è l’odio ed il disgusto per l’inglorioso tramonto di un regime, laddove il gaudente regista veneziano si preoccupa di infarcire le inquadrature della monotona orgia con pleonastici e minuziosi dettagli ginecologici.
Senso 45, che doveva essere un apologo sul trasformismo, una disperata storia d’amore di un’eroina borghese per un amorale marchettaro teutonico, si trasforma, contro le stesse intenzioni del regista, in un catalogo sbrindellato e ripetitivo delle ossessioni brassiane, in un film che sembra continuamente alludere a qualcos’altro appena sfiorato.

(in “Xsatellitex” n.2, ottobre 2002, pp.27-9)

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Grazie, interessante.

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Ok. Grattarola escluso , sembra che nessuno in 16(!!!) anni abbia visto il film. Eppure. Eppure, a livello tecnico e formale, è un Brass d’annata. Poi, magari, ci sono alcuni difetti, assolutamente. Però la Galiena è brava e convincente, Garko (pur doppiato…) bellissimo e in parte (e pure nudo frontale, per la gioia di grandi e piccini…). E fra gli attori di contorno, si distingue il sempre valoroso Franco Branciaroli. In breve : lasciate perdere le stroncature d’epoca, e guardate il film senza pregiudizi. Potreste rimanere piacevolmente sorpresi… :sunglasses::+1:
P.S. Cameo di un vigoroso e “sull’attenti” Roberto Malone. Nella scena dell’orgia, guarda caso… :grin:

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A dir la verità lo vidi al’epoca ma dimenticai di postarne. In parte concordo col Gratta, in parte no.

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