Sette donne d'oro contro due 07 (Vincenzo Cascino, 1966)

Italia, 1966
di Vincenzo Cascino

domani notte su Italia 1, ore 05.00

http://www.cinematografo.it/bdcm/bancadati_scheda.asp?sch=20245

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visto!

Affascinante filmettino con sullo sfondo una Roma sui generis

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Mercoledì 14 gennaio alle 02:45, Retequatro

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Per me Cascino è un pò l’ Ed Wood italiano, da vedere soprattutto “le 7 cinesi d’oro” un vero delirio con una splendida colonna sonora “psyco-beat”.
Consiglio anche “lo sceriffo che non spara” (produttore e scrittore) dove penso ci siano i cazzotti più “finti” mai visti nel cinema…
Comunque per quanto goffi i suoi film sono pieni di idee e hanno quello strano fascino surreale!:rolleyes:

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Su IRIS il 13/05/2009 ore 09,49
In replica poi nella notte ore 02,40

Sarebbe interessante avere qualche notizia in più su questa meteora del sottobosco cinematografico nostrano letteralmente sparito nel nulla dopo questo allucinante dittico spionistico…rimane comunque scolpito come l’unico agente segreto in grado di neutralizzare i nemici a colpi di pipa!!!

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Mi permetto di allegare un mio modesto contributo a un personaggio (oggi penso passato a miglior vita dato il tempo trascorso e dato che all’epoca non era certo un giovincello) senz’altro degno, se non di rivalutazione, di considerazione e curiosità.

Lo sgangherato universo del nostro cinema bis costellato da personaggi cialtroneschi e macchiettistici costituiva un’autentica calamita per incauti investitori attirati dal miraggio di moltiplicare i propri guadagni attraverso il dorato mondo della settima arte. Qualche invito a cena, magari in compagnia di procaci figliuole con velleità d’attrice, qualche sortita in ciò che restava degli ultimi scampoli della “dolce vita romana” “et voilà” il gioco era fatto e un film era bello che prodotto e finanziato. E così anche il palazzinaro, il pescivendolo o il macellaio di turno potevano dunque trasformarsi in novelli Carlo Ponti o Dino De Laurentis.

Questo è ciò che deve essere successo al tal Vincenzo Cascino, ex industriale italoargentino che riparò nel nostro Paese, si disse, per sfuggire alle grinfie dell’ex moglie.

Convinto di poter diventare una sorta di Orson Welles di casa nostra, ebbe la brillante idea di finanziare il “Gran Maestro del Trash” Renato Polselli per farsi dirigere nel 1964, in qualità di protagonista assoluto, in una sua personalissima quanto malriuscita autobiografia intitolata “Le sette vipere” dagli ovvi esiti fallimentari.

Dato che errare è umano ma perseverare è diabolico, proseguì l’anno successivo, sempre sotto la direzione del regista frusinate e del mediocre collega spagnolo Josè Luis Monter, con “Lo sceriffo non spara”, consacrato all’unanimità come il western più brutto che sia mai stato realizzato.

Lasciatosi alle spalle il Polselli, il nostro conchiuse la sua sciagurata disavventura cinematografica con un allucinante dittico spionistico comprendente, oltre al film in esame, anche l’ultrasconosciuto “Le 7 cinesi d’oro”; qui coronò il suo sogno megalomane che lo vide, oltre che nelle consuete vesti di attore protagonista, autore del soggetto e produttore, anche come regista e montatore, sotto l’usbergo dello pseudonimo decisamente trash di Vincent Cashino (sic!).

In questo film il nostro riveste il ruolo di Barbikian, un collezionista d’arte armeno, nell’occasione anche agente segreto russo (sic!), possessore di un dipinto di Goja acquistato a un’asta romana; il quadro, appartenuto nientemeno che ad Adolf Hitler, conterrebbe sul retro della tela la mappa del tesoro dei nazisti trafugato dopo la Seconda Guerra Mondiale in Sud-America dal colonnello delle SS Von Klaus.

A dar la caccia al dipinto si muovono anche la maliarda francese Marie Dupont, nonchè l’agente segreto Mark Davis. Ne riveste la parte l’ungherese Mickey Hargitay, ex “Mister Universo” ed ex marito della platinatissima Jayne Mansfield, all’epoca frequentatrice del sottobosco cinematografico romano per una sua “liason” con Enrico Bomba, figura apicale del trash nostrano più oscuro e recondito.

Tornando a noi si scoprirà che il Goja di Barbikian altro non sarebbe che un falso e che esisterebbero altre sei repliche vendute dallo stesso banditore d’asta ad altrettante ragazze sparse il giro per il mondo. Riunite tutte quante nella nostra capitale, daranno vita, unitamente ai due scalcagnati supereroi, a prevedibili e farneticanti peripezie per individuare il vero Goja e la mappa del tesoro nazista.

Una trama bizzarra e sconclusionata nella quale il Cascino vorrebbe coniugare, senza ovviamente disporre della benchè minima capacità, i registri dell’action movie e della commedia, trama che ci conduce, a causa dell’assoluto dilettantismo di fondo, a un risultato comunque esilarante, sia pur nella sua più squisita matrice involontaria.

Partiamo dai protagonisti: se il buon Mickey Hargitay, come di consueto, non va mai al di là di un’espressività da lavandino, il Cascino, con imperturbabilità quasi brechtiana, delinea il suo Barbikian come un uomo poco galante, dall’aria seriosa e “dal bacio non facile” (sic!). Perennemente agghindato con impermeabile beige e Borsalino a tesa extralarge (sembra che abbia in testa un disco volante!!), non si separa mai dalla sua pipa, nemmeno nelle sortite da sommozzatore alla ricerca del fantomatico tesoro, pipa fra l’altro utilizzata come arma preferita per sbarazzarsi dei nemici, presi puntualmente a pipate in testa (mai vista una cosa del genere!!!).

Quanto agli imbarazzanti comprimari maschili, quasi tutti reclutati tra le ultime schiere di Cinecittà, meritano senz’altro una menzione il prolifico caratterista britannico Geoffrey Copleston, nei panni del banditore d’asta falsario e imbroglione, unico a navigare con personale mestiere in questo “mare magnum” d’insipienza e dilettantismo; l’attore di fotoromanzi Giovanni De Benedittis, che vedremo tra gli interpreti del mitico “Patrick vive ancora”, come sciapo quanto inutile accompagnatore di una delle acquirenti dei Goja farlocchi ma soprattutto, in veste di villain, colui che passò agli annali come l’uomo più brutto del cinema italiano: sto parlando del gargantuesco Pasquale Fasciano, un “cristone di oltre due metri” come ebbe a definirlo l’oggi compianto Mario Gariazzo. Fresco di laurea in lettere e di alcune esperienze giornalistiche, il nostro futuro regista nonchè “ufologo” dell’ultima ora scrisse per lui nell’ormai lontano 1958 il copione del mitico e misterioso “Wako l’uomo delle nevi”, film mai venuto alla luce per il clamoroso fallimento della produzione, dovuto anche all’infinito procrastinarsi delle riprese a causa delle continue e rovinose cadute del nostro sulle nevi di Courmayeur con il suo goffo e gigantesco corpaccione.

Sulle dimenticabili sette donne d’oro, quasi tutte carneadi destinate a ben misera carriera, ricorderei l’attricetta francese Maria Vincent, nella parte della maliarda Marie Dupont, che per l’occasione sciorina anche le sue mediocri doti canore. Accompagnata nella cornice dei fumosi night clubs dell’epoca da fintissimi complessini musicali con i componenti che imbracciano chitarre e bassi mentre si sentono pianoforti e strumenti a fiato, esegue l’insopportabile motivo della colonna sonora firmata dal tal Italo Fischetti, in ben tre lingue: italiano, francese, nonchè, con pronuncia a dir poco abborracciata, anche in inglese su testo tradotto dallo stesso Hargitay, o almeno così recitano i titoli di testa (leggere per credere!!) .

Tra le altre non possiamo non citare la pugliese Miranda (interpretata da certa Luciana Paoli) che pensando di farci ridere si esprime in un dialetto a metĂ  fra un Lino Banfi prima maniera e Jimmy il Fenomeno.

Sulle numerose assurdità e incongruenze presenti nella pellicola, rimangono scolpiti: il recupero del tesoro dei nazisti da parte di Barbikian con la sua immancabile pipa al largo delle coste del Circeo (ma non doveva essere trafugato in Sud-America??) che avrebbe potuto essere, a detta dei protagonisti, anche un tesoro romano (cosa???), tesoro che si risolve comunque in un’accozzaglia di cianfrusaglie e bigiotteria da due soldi, degne della peggior bancarella di Porta Portese, dove fra l’altro sono ambientate alcune scene del film; le scene di lotta tra le sette ragazze, tutte girate malissimo alla tutti contro tutti e con i nostri due supereroi che divertiti sparano loro addosso vernice a spruzzo, non si sa bene a quale titolo; le immagini di repertorio che introducono le località di provenienza delle ragazze, montate totalmente a casaccio; i titoli (in italiano) sui giornali internazionali malamente appiccicati con la coccoina delle scuole elementari; i non pochi momenti di imbarazzante infantilismo, tra i quali svettano: la disputa tra i due sgherri di Barbikian (uno moscovita e l’altro siciliano) circa la fama di conquistatori di cuori femminili; il goffissimo spogliarello improvvisato nella grotta per distrarre i cattivi di turno con in testa un attonito Fasciano (roba da far cadere le braccia!!); l’aggressione verbale delle sette donne e dell’inutile De Benedittis ai nostri due agenti segreti (una recita di bambini dell’asilo sarebbe riuscita meglio!!).

Dopo questo clamoroso insuccesso e il suo testè citato delirante sèguito, che sicuramente non sortì migliori esiti, il Cascino sparì letteralmente nel nulla, inseguito non più dalle sette donne o dalle sette cinesi d’oro ma dai tanti, forse anche troppi, creditori accumulati.

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Meraviglioso. Se i film che prendi in esame, fossero stilisticamente all’altezza di come scrivi, sarebbero capolavori o quasi… :heart::heart::heart:

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Di prossima visione il suo seguito. Le sette cinesi d’oro, cge non ho avuto ancora il coraggio di guardare.

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Registrai il film da rete4 quando ancora muovevo i primi passi nel mondo del cinema bis italiano, lo ricordo sgangherato, colorato, molto pop e divertente. Probabilmente però non ero ancora intellettualmente pronto per l’attivazione di tutte le sinapsi da indigestione di segale cornuta che questa pellicola era in grado di agevolare…

Urge revisione!

Grazie del tuo contributo @moonlightrosso

volevo registrarlo ma dopo la brillante recensione di @moonlightrosso è come se già lo avessi visto!

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Ci rimane comunque “Le 7 cinesi d’oro”. Dall’incipit sembra imperdibile. Il Cascino scende dall’elicottero. Un cattivaccio nascosto dietro un cespuglio lo aggredisce per rubargli la valigetta, ma lui lo stende a colpi di pipa!

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