Sopravvivere con i lupi - Survivre avec les loups (Véra Belmont, 2007)

Recupero doveroso di questo film bellissimo, che mi persi all’epoca della sua uscita.

In due parole, una bimba ebrea di otto anni vede i suoi genitori venir deportati e da Bruxelles intraprende un lungo e periglioso viaggio verso est per cercare di ritrovarli, arrivando fino in Ukraina. Non può fidarsi delle persone, dalle quali ha imparato in breve tempo a fuggire, perché in tempo di guerra chiunque è pronto a denunciarti o voltarti le spalle in cambio di un piccolo tornaconto, e chi è davvero buono e ti aiuta finisce in breve tempo pure lui sulla camionetta della ghestapo.

La bimba allora compie il suo viaggio in solitudine attraversando i boschi, mangiando radici, rubando nelle cascine quando capita, diventando schiva e selvatica. E, come dice il titolo, compie una parte del suo percorso in compagnia di alcuni lupi, che grazie alla sua straordinaria sensibilità la accettano come parte del branco in un’ottica di reciproco sostegno.

Film potente dal punto di vista emotivo, si empatizza moltissimo con la piccola protagonista e coi suoi vissuti drammatici, grazie anche ad un’interpretazione magistrale fornita dalla giovanissima attrice. Le scene nell’ostile natura del nord europa sono davvero d’impatto, con la bambina che piena di piaghe e incrostazioni sopravvive per anni nelle gelide foreste innevate. E le scene con gli animali sono di un fascino ammaliante, sembra davvero incredibile che si siano riuscite a girare queste cose. Il cinema riesce a stupirmi sempre.

:movie_camera: :film_strip: :astonished:

Il piccolo problema di “Sopravvivere…”, è che nel 2008 venne fuori che l’autrice del romanzo aveva inventato tutta la storia. Un falso clamoroso, insomma… :black_heart::black_heart::black_heart::unamused::unamused::unamused::persevere:

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Cioè, aveva spacciato la vicenda come una storia vera ed invece non lo era?

Esattamente. E ha fregato il pubblico mondiale per 20 anni… :persevere:

Ok, mi sono documentato.

Credo che il nodo che ha fatto gridare allo scandalo sia che il pubblico ama sentirsi dire che una storia sia vera, poiché se è incredibile ed emotivamente toccante ed in più ci si dice che è realmente successa, allora per noi assume ancora più valore e significatività.

L’autrice del romanzo, a quanto pare, era una figlia di collaborazionisti che ha perso i suoi genitori perché uccisi dai nazisti dopo aver fatto uccidere un sacco di altra gente che nascondeva o aiutava ebrei: infatti i tedeschi avrebbero truffaldinamente detto loro che se avessero fatto i nomi li avrebbero salvati. E così la ex bambina, per lasciarsi alle spalle questo trauma, si è inventata una storia nella quale i suoi genitori erano dei martiri e lei una vittima della ferocia nazista, alla quale è riuscita a sopravvivere con peripezie degne di una favola.

Insomma, l’autrice avrebbe dei traumi infantili con dei problemi psichici ad essi collegati; traumi che ha cercato di esorcizzare creandosi una realtà alternativa “da romanzo”, che ha cercato di dare in pasto a tutto il mondo affinché la stima e l’ammirazione della gente la aiutassero a sentirsi valida e degna.

Una menzogna? Si.
Una colpa? Non saperei.

La mente umana lavore in modo strano e non sempre riconducibile a logiche razionali.

Qui quello che sposta l’ago della bilancia è che il romanzo ed il film avevano fatto un sacco di soldi venendo presentati come “storia vera”, dunque chi con quella storia si è emozionato si è sentito truffato.
Ma sinceramente anche questa è una dinamica della mente umana che trovo imperscrutabile ed irrazionale: a me personalmente non frega che una storia sia vera o meno, la carica empatica aggiunta dal fatto che sia “accaduto davvero” mi ha sempre lasciato un po’ freddo, motivo per cui spesso anche mi trovo in contrasto con la mia compagna, che si intestardisce a guardare film talvolta mediocri, affascinata dal fatto che siano storie accadute veramente.

Il cinema e la letteratura nascono dal potere della fantasia, ed il loro bello è che riescono a comunicare valori reali e trasmettere emozioni concrete pur narrando vicende che sono frutto dell’immaginario.

Per cui, in definitiva, posso capire lo scandalo nato in seguito alla scoperta della “non autenticità” della vicenda, ma di certo non lo condivido.

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Ahemm, non era “figlia di collaborazionisti”: i suoi genitori erano nella resistenza, e suo padre, sotto tortura, rivelò i nomi dei compagni. Per questo il suo nome venne cancellato dalla placca per i martiri al comune di Schaerbeek:

Segnalo che sulla frode è uscito un doc della BBC, disponibile su Netflix:

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Forse è un mio errore lessicale, ma io ritenevo che collaborazionista fosse anche questo, qualcuno che tradisce i compagni facendo nomi e cognomi. È errato? In tal caso come si può definirlo, semplicemente traditore?

Interessante che ci abbiano fatto un documentario, sicuramente vale la pena di vederlo, grazie della dritta!

A volte, traditore. Altre volte, se magari prima ti hanno pestato a sangue o torturato, sei semplicemente uno che vuol sopravvivere… :cry:

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Un collaborazionista è uno che collabora. Questi erano della resistenza, uno non ce l’ha fatta e ha fatto i nomi. Sarebbe interessante capirne di più, dato che per levargli il nome dalla targa non credo che basti fare i nomi.

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Su wikipedia francese si dice che, dietro la promessa da parte della polizia nazista di fargli rivedere sua figlia, egli accettò di collaborare facendo i nomi di tutti i suoi compagni, ed in più partecipò agli interrogatori di questi ultimi facendo una sorta di contraddittorio in caso negassero o nascondessero dei particolari. Chiaramente i nazi non furono fedeli alla parola data e lo ammazzarono come tutti gli altri.

Et voilà, non ricordavo esattamente quello che avevo letto ma ricordavo l’avesse fatta grossa, ecco perché l’ho definito collaborazionista mi sa.

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