Un’altra chicca della premiata ditta Herman Yau / Anthony Wong.
Ma come fa il cinema hongkonghese degli anni '90 ad essere così speciale? Anche un film come questo, che in fin dei conti è una produzione di secondo piano, risulta praticamente perfetto nella sua efficacia. Ritroviamo in quest’opera il sapiente mix di tutti gli elementi che rendono inconfondibile questa cinematografia, un miscuglio ben dosato di sangue, violenza, melodramma, grottesco, azione, eccesso e sentimento, addizionati con qualche goccia di humor e una psicologia dei personaggi tanto basica quanto efficiente. Nel caso specifico possiamo apprezzare un focus bello possente sul disagio psichico vissuto dal protagonista, che lo porta a perdere la bussola e a gettarsi in un’escalation omicida.
Adorabile la maniera in cui Yau riesce a dipingere in modo davvero odioso e deprecabile la categoria dei taxisti, della quale in generale penso che molti facciano fatica a fidarsi, temendo di doversi sempre parare il culo da possibili fregature. Una categoria di cui spesso si sente parlare in modo poco lusinghiero ai telegiornali, danno l’idea di appartenere ad un cartello e per questo motivo può capitare che diventino pure arroganti o strafottenti.
Come sempre alcune sfumature della recitazione di Anthony Wong mi mandano in visibilio, un grande attore che riesce ad emergere in tutta la sua maestosità anche in piccole produzioni commerciali come questa.
Come sempre la regia di Yau è coinvolgente e non disdegna inquadrature originali ed adrenaliniche nelle scene d’azione.
Come sempre, cinismo e (in)sofferenza prevalgono, privandoci dei banali happy ending e dando spazio ad un cinema più critico e maturo.