The Tree of Life - Terrence Malick, 2011


http://www.cinematografo.it/pls/cinematografo/consultazione.redirect?sch=49556

Qualcuno ha visto l’ultimo film di Malick, The Tree of Life, recente vincitore della Palma d’Oro a Cannes?
Io l’ho visto una settimana fa. A mio parere un film molto presentuoso e sopravvalutato. L’interminabile durata (oltre 2 ore) avrebbe richiesto una sceneggiatura degna di questo nome. Non c’è storia, solo bellissime immagini (la fotografia è stupenda) e alla lunga la visione si trasforma in un’estenuante maratona per concludersi in un finale che scimmiotta il 2001 di Kubrick, una sfrontata citazione che ha perlomeno il pregio di porre fine alla sofferenza. Non mancano i momenti involontariamente comici (una spruzzata di Jurassic Park, la fase Superquark). Ho osservato le facce degli spettatori all’uscita della sala, per la maggior parte ammutoliti, ma non mancavano gli incazzati. E non era certo un pubblico che vede solo il film natalizio di Boldi, tutti muniti com’erano di tesserina AIACE. Discutendo con diversi amici che l’hanno visto non ho trovato una persona a cui fosse piaciuto. Voi cosa ne pensate?

se al Lumiere di Bologna è stato proiettato per una settimana invertendo i due tempi, senza che nessuno battesse ciglio, direi che come sceneggiatura ci siamo :smiley:
http://www.tgcom.mediaset.it/spettacolo/articoli/1011930/lalbero-della-vita-va-bene-anche-al-contrario.shtml

M’ha lasciato perplesso alquanto. Belle immagini, ma il resto? E che c’entrano i dinosauri poi? Notevoli però le prove di Brad Pitt e Jessica Chastain, peccato per il poco spazio per Sean Penn.

Discutendo con diversi amici che l’hanno visto non ho trovato una persona a cui fosse piaciuto. Voi cosa ne pensate?

Invece è piaciuto a tutti quelli con i quali ho parlato del film. Non sono un grande fan di Malick, va detto.

Visto ieri sera, devo dire che se non fosse intervenuta la mia fanciulla varie volte per svegliarmi mi sarei fatto una serena ronfata. E alla fine del film sono rimasto alquanto esterefatto, tanto da chiederle “ma sono io contadino, o è il film ad essere una boiata?”, e lei “beh, belle immagini, ma poi?”.

Girato da dio, con uno uso della musica ipnotico e affascinante, però pretenziosissimo e fin troppo “alto” nelle due parti metafisiche/filosofiche, mi ha fatto venire in mente Hitchcock (ma è poi vera?) che dopo essere essere stato invitato da Bergman a vedere la sua ultima opera gli dice “bello, bello, adesso vado a vedermi un film”.
Tra tutte le recensioni che ho trovato quella con cui mi trovo maggiormente d’accordo è questa:

“L’unico film finora fischiato al Festival di Cannes, fra tanti mediocri, è l’opera più attesa del festival e della stagione cinematografica, ‘The Tree of Life’ del leggendario Terrence Malick. Il capolavoro annunciato, la Palma d’Oro sicura, il quinto film in quarant’anni del più carismatico artista vivente, ha spaccato la sala della prima mondiale fra chi gridava al genio e chi alla boiata pazzesca. Ma, tanto per cominciare, si tratta del segno del vero artista. (…) Il conflitto fra un autoritario padre e una madre d’infinita dolcezza dà vita a scene di soverchiante potenza visiva e in parallelo incarna la lotta eterna fra Natura e Grazia, egoismo e amore. Senza mai scadere nell’univocità del Bene contro Male, ma con uno sguardo carico di una pietas d’altri tempi, anzi d’altre ere. Qui si dispiega il genio dell’autore della ‘Sottile linea rossa’. (…) Dove è più difficile avventurarsi è nel prologo e nell’epilogo filosofico-scientifico-religiosi, che avvolge la piccola grande vicenda degli O’Brien in una parabola di miliardi di anni, dal Big Bang alla futura morte del pianeta, passando per i dinosauri. Vi si ammira l’erudizione di Malick, dalla laurea ad Harvard, alle traduzioni di Heidegger, agli ultimi anni trascorsi a discutere di universi paralleli con i maggiori astrofisici del mondo. Ora, sarebbe sciocco dividere il giudizio in due. La parte cosmogonica è funzionale alla narrazione, ne inquadra il senso e il valore d’insegnamento etico sull’importanza dei sentimenti.” (Curzio Maltese, ‘La Repubblica’, 17 maggio 2011)

Vi confesso che, qualche tempo fa, mi sono cimentato nella sua visione con tutto l’entusiasmo dettato dai giudizi critici entusiastici che hanno accompagnato l’uscita del film: beh, dopo dieci minuti ho lasciato perdere…

Io l’ho visto in sala qualche mese fa e ne sono rimasto piuttosto deluso.
Non avevo particolarmente amato “La sottile linea rossa”, lo ammetto, ma avendo vinto la palma d’oro ho voluto vederlo. E’ girato benissimo, specialmente le parti nelle quali sono protagonisti i bambini, ma l’ho trovato magniloquente ed eccessivamente lungo: 45 minuti in meno avrebbero certamente giovato, e la parte “documentaristica” e’ a mio parere del tutto superflua (per quanto visivamente splendida).

Sono riuscito a non addormentarmi solo perche’ mi e’ parso di cogliere in diversi fotogrammi citazioni degli album dei Pink Floyd: prima una mucca (Atom heart mother), poi delle onde sull’acqua (Meddle), un arcobaleno (Dark side of the moon), una stretta di mano (Wish you were here), ed ho cominciato a cercare altri riferimenti durante la proiezione. Piu’ avanti mi e’ parso di vedere una fabbrica (Animals) e si vedono ovviamente dei muri, ma a tutt’oggi non so se queste “citazioni” nel film esistono veramente o se invece ho voluto vederle io forzatamente.
Temo la seconda.

Non ho visto il film ma forse questi omaggi sono davvero intenzionali perché potrebbe esserci un’altra coincidenza a questo proposito.
Storm Thorgerson (che ha realizzato le copertine di diversi dischi dei Pink Floyd e non solo loro) ha realizzato una splendida illustrazione chiamata “The Tree Of Half Life” che è stata adottata dalla band per merchandising e altri tipi di artwork. Magari anche questa però è solo una coincidenza.
Comunque Shanghai Joe potrà essere molto più esauriente e autorevole di me in materia.

Non ci posso credere! ahahahahha

Continuo a discutere con un amico che trova invece il film bellissimo, ecco l’ultima email che gli ho mandato (lui mi portava ad esempio la rece di Massimo Camisasca che posto più sotto.

Come tutte le cose anche questo film ognuno lo vede interpreta col filtro del suo bagaglio culturale, per cui se Camisasca lo vede come dio personale, creatore, io vedo invece una natura che puo’ essere bellissima ma anche durissima, e non c’e’ nulla di divino in questo, ci siamo noi poveri esseri spauriti sulla terra che ci chiediamo continuamente se ci sia un dio e chi sia, domande ovviamente senza risposta perche’ la natura, o il caos, non puo’ risponderci come non poteva rispondere ai dinosauri, come non ci puo’ rispondere una pianta o una roccia. Ma al di la’ delle intenzioni e del significato del film, il problema poi e’ la sua realizzazione. E qui il caro Malick a mio avviso ha ecceduto di self confidence, con un film troppo lungo, girato da dio si’, ma troppo spesso di una noia mortale: gran belle immagini, piu’ per un documentario che per un film. Ecco, forse se non avessi saputo che era di Malick, mi sarei dovuto vedere il film cannamunito stile video dei Pink Floyd, e allora l’avrei apprezzato di piu’. Mi dirai che se ne stiamo a discutere cosi’ tanto il suo risultato Malick l’ha gia’ raggiunto, io pero’ continuo a ritenerlo un film fin troppo complesso che nel cercare di mettere troppa carne al fuoco alla fine crea un pastrocchio, oltretutto peccando pure di originalita’, con la scena finale rubato paro paro da Kubrick. E, forse lo sai forse no, non e’ che io sia uno da cinepanettoni, gli altri Malick li avevo visti e apprezzati, ma allora se vogliamo stare sul cinema cosidetto ‘autoriale’ preferisco Nuovo Mondo di Crialese, tanto per fare un esempio. Il cinema e’ alla sua radice immagine in movimento, creata per entertainment, che puo’ essere tradotto come divertimento, o ancora meglio intrattenimento. E non si puo’ prescindere da questo assioma. Poi potra’ anche diventare arte, ma rimane ancorata al concetto di base. Quindi, sorry for Mr Malick, capisco le intenzioni, ma stavolta il voto e’ 5, o 6-, si vede che ha studiato ma lo svolgimento e’ troppo confusionario.

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“The Tree of Life”: la nuova domanda, secondo Malick
Scritto da Massimo Camisasca il 10 giugno 2011 ·
Le persone veramente acute sono quelle che non si limitano a rispondere alle
domande di tutti, ma ne sanno porre di nuove. In questo modo, essi aprono
scenari non scontati e profondi. Terrence Malick, nei suoi ultimi film,
ribalta, quasi in un crescendo, la domanda di sempre: «chi è Dio per noi?» e la
trasforma in una nuova domanda, mutando così profondamente la prospettiva: «chi
siamo noi per Dio? chi sono io per Lui? chi sono io per Te?».
The Tree of Life è un dialogo continuo fra molti io e un Tu. I differenti io
sono i protagonisti del film. Ma c’è un protagonista nascosto eppure sempre
presente, che è il tu di Dio. In questa ultima opera di Malick non c’è
possibilità di equivoco. Il Dio di Malick non è un dio panteista, come hanno
scritto alcuni critici anche sull’autorevole Corriere della Sera, copiando la
recensione dei film precedenti di Malick che Morandini ha tracciato nel suo
Dizionario. Il Dio di Malick è un Dio personale, altrimenti quel dialogo fra
Dio e i tu non avrebbe senso.
Il Dio di Malick è un Dio creatore. Da sempre il regista è interrogato dalla
natura, che in quest’ultima opera è considerata in modo nuovo: non solo l’
infinitamente grande delle stelle, ma anche l’infinitamente piccolo. Egli
guarda la natura non solo attraverso il telescopio, ma anche attraverso il
microscopio.
A quale Dio si riferisca Malick d’altra parte è chiaro già subito nell’esergo
del film, che è un versetto del libro di Giobbe. Dio parla a Giobbe dicendogli:
“Dov’eri tu quando io ponevo le fondamenta della terra?”. Sembrerebbe l’
espressione soltanto della sproporzione infinita fra Dio e l’uomo, che
impedirebbe all’uomo di parlare e di pensare. Ma questa non è la conclusione di
Giobbe. E non è questa la conclusione di Malick. C’è la possibilità, per l’
uomo, di compiere almeno in parte il cammino infinito che va da lui a Dio. E
una delle strade possibili è proprio l’immensità della natura, che genera nell’
uomo stupore, smarrimento, sorpresa, sgomento, e che, infine, si rivela anche
come compagnia.
Nei film di Malick abbonda il verde. Indubbiamente è il suo colore preferito,
insieme all’azzurro dei cieli e del mare. Questi sono, a mio parere, i due
colori primordiali. Se consideriamo che la luce, cioè l’oro, riguarda piuttosto
lo splendore increato di Dio, i colori della Creazione sono proprio questi: il
verde e l’azzurro. Spesso nei suoi film, per definire lo spettacolo della
natura ha usato la parola «gloria», un termine che attraversa profondamente
tutta la tradizione giudaico-cristiana.
Nella Creazione, Dio si rivela come padre, donatore di vita. Il tema del
“padre” è il tema centrale di questo film. Tema arduo, difficile da affrontare,
perché difficile e contraddittoria è l’esperienza stessa della paternità. L’
asse su cui ruota tutta quanta quest’ultima produzione di Malick è la domanda:
vi è un rapporto fra la paternità in cielo e la paternità sulla terra? Il padre
terreno, un imprenditore del Texas – interpretato da Brad Pitt -, è molto
realistico e veritiero. È un uomo che vorrebbe amare e non sa amare. Un uomo
che esprime con tutta la sua fisicità il rapporto che vorrebbe avere con i
figli: li abbraccia, li stringe a sé, invoca il loro affetto ma, nello stesso
tempo, li tiene a distanza. Vuole essere chiamato “signore”. In questo modo li
disorienta e genera in loro l’ipotesi che il padre non sappia veramente
accoglierli, che il padre sia pura negatività a cui sottrarsi, anche col
suicidio. Uno dei figli, infatti, si ucciderà.
La crisi della paternità, fra l’altro, porta con sé anche quella della
maternità. Il figlio non accusa soltanto il padre, ma anche la madre,
incolpandola di non essere stata capace di aiutare il padre ad essere tale. Il
tema, come si vede, è altamente drammatico. Il film non è una tela dipinta da
un pittore buonista. Non si preclude nessuna domanda apocalittica. E se infine
vincesse il male? E se infine fosse il male a farla da padrone?
Il tema della lotta fra bene e male è l’altro asse intorno a cui si può
leggere l’intera opera di Malick. Non tutto nella storia del mondo può essere
capito. Per esempio, i dinosauri che sono pure protagonisti di questo film
(quante cose, direte voi! È impossibile raccogliere tutte, in una sola
recensione e soprattutto è impossibile ridurre tutto ad unità, di fronte a un
film così polimorfo, così ricco di suggestioni, e anche di contraddizioni, che
non vogliono essere superate in modo meccanico e pacificatorio). I dinosauri
rappresentano un buco nero nella storia del mondo. Gli studiosi dell’evoluzione
forse possono dare delle loro risposte. Ma certamente l’esistenza di questi
immensi animali, che sopravvivevano distruggendosi a vicenda, che vivevano del
tributo di sangue dell’altro, sottende un interrogativo profondo sul
significato della storia della natura, che perdura anche oggi, con i suoi
misteri. Ancora oggi, nell’infinitamente grande dei maremoti e dei terremoti e
nell’infinitamente piccolo dei batteri, la storia della natura coniuga
sopravvivenza e morte in uno strano balletto, di cui l’uomo non può tenere le
fila.
Ma The Tree of Life non si ferma al Dio creatore. È presente anche il tema
della salvezza. Non mancano le immagini esplicite di Cristo, come la vetrata di
una chiesa a lungo contemplata dal ragazzo, oppure la genuflessione del padre
davanti al Santissimo Sacramento. Cenni, dunque, non solo a Cristo, ma al
Cristo così com’è visto e vissuto nella Chiesa Cattolica. Richiederebbe molte
pagine rintracciare i segni cristologici lungo l’arco del film. Quello più
evidente è proprio il titolo, L’albero della vita, che rappresenta la sintesi
delle culture pagana giudaica e cristiana. Nello stesso tempo, è l’albero del
cortile di casa, a cui si appendono le altalene per giocare, un’altra
esperienza evidentemente molto cara a Malick, che ritorna nei suoi film.
Il tema cristologico è poi ripreso proprio alla fine, quando, sulla riva del
mare, si ha l’esperienza iniziale di ciò che sarà la vita oltre la morte: una
vita finalmente pacificata, in cui le diverse generazioni degli uomini e le
diverse età della vita di uno stesso uomo si incontrano in uno sguardo
armonioso. I colori di questo paradiso sono piuttosto i colori del purgatorio
dantesco: l’azzurro e il rosa. Non c’è il sole. Penso che Malick abbia voluto
qui trasmettere il messaggio di una esistenza riconciliata, non più bruciata
dal calore delle passioni.
Il film non parla soltanto del passato, della creazione del mondo, dei
dinosauri, o del passato di una famiglia, guardato attraverso gli occhi dei
ricordi, dei flashback ricorrenti, lungo lo scorrere dei fotogrammi. Guarda
anche al futuro: alla vita oltre la morte, ma anche al futuro su questa terra.
I grattacieli di Houston, tutti di vetro, capaci cioè di riflettere il cielo,
indicano che è possibile un rapporto armonico fra l’uomo e la natura. Il
figlio, che a diciannove anni si era ucciso, rivive nel fratello, ormai
diventato grande, imprenditore, interpretato nel film da Sean Penn, un attore
caro a Malick, che lo aveva già impiegato in altri suoi capolavori.
Non solo esiste la vita oltre la morte, ma c’è anche la possibilità di
scoprire già in questa vita un senso insito in ciò che accade. Esiste almeno la
possibilità di continuare a interrogarci. Non soltanto di chiedere a Dio: chi
sei tu per noi? Ma soprattutto di chiedere a lui: chi sono io per te? In questo
senso, la fonte primaria dei film di Malick, non solo dal punto di vista
letterario, sono i Salmi. Se si rileggono i salmi attraverso questi film, e si
rileggono questi film attraverso i salmi, si può vivere un’utile
contaminazione, che, senza condurci assolutamente in un terreno new age, ci
radica nella storia di Israele, in quella della Chiesa e infine nella storia di
Dio.

Boh, che altro aggiungere? Io l’ho visto in sala, proprio poche ore prima che venisse premiato. Sapevo (meglio, avevo il fortissimo sospetto…) che dopo “La sottile…” e soprattutto “The new world” Malick era divenuto un mistico, ma al punto tale da far sembrare Tarkovskij buonanima (grandissimo regista mai abbastanza ammirato, per inciso) un…ateo (!!!), è davvero troppo. A fine proiezione, mi aspettavo che sullo schermo apparisse, prima dei titoli, la scritta “ITE, MISSA EST”.
P.S. Onestamente, in due ore di film ci sono alcune sequenze magnifiche, per forza visiva e/o uso delle musiche. Ma è pochino… Malick, torna a fare un VERO film, grazie!!

A due anni dalla visione del film, e dopo attente meditazioni, sono giunto ad una conclusione. Parafrasando Fantozzi Ugo, posso serenamente affermare che “The tree of life” è…'na cagata pazzesca, presuntuosa e pretenziosa.
P.S. A inizio luglio, 10 mesi (!!) dopo la presentazione a Venezia, esce da noi “To the wonder”. Malick, l’anima de li mortacci tuoi, stavolta non mi fotti: lascio ad altri il…“piacere” della visione!

Mi associo… mi era stato prestato da un mio carissimo amico, però non ce l’ho fatta a vederlo… mia madre è stata “piu’ coraggiosa”, però poi alla fine m’ha confessato di non averlo capito molto bene, comunque Malick sarà un grandissimo regista… però a me i suoi film mi fan sempre un effetto “soporifero”… e poi non sopporto la presenza costante della “voce fuori campo”!!! :oops:

//youtu.be/WXRYA1dxP_0

Purtroppo Malick la lezione non l’ha mica imparata, anzi persevera: pare proprio che “To the wonder” sia anche peggio. Le recensioni lette a suo tempo dal festival veneziano erano mediamente delle stroncature non indifferenti, in testa proprio un (ex?) “malickiano di ferro” come Mereghetti. Io non so che dire: spero solo che “il maestro” yankee non faccia la fine di Argento, cioè un film peggiore dell’altro, senza pietà per i suoi estimatori e i cinefili in generale…