The way back - Peter Weir, 2010


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La poesia nelle immagini di Peter Weir mi ha sempre affascinato, da Gallipoli a Truman Show, passano per Master & Commander e Dead Poets Society. E mi piace che si prenda il suo tempo (ormai un film ogni 5-7 anni) per tirar fuori qualcosa d’inusuale. Epperò a mio avviso qui ha toppato alla grande. Il film ha un grande cast, location memorabili, set ricostruiti nei minimi dettagli, e una gran storia? Ennò, mica tanto. Una gran storia sulla carta, ma a chi interessa nel 2012 un atto d’accusa contro il regime sovietico dei gulag? Forse a Mr. B e i suoi compagni di merende. Perché poi, tutta l’epopea del viaggio, risulta essere solo una gran bufala, sbugiardata dalla BBC. E infatti difetta in verosimiglianza, perché imprese simili vedi attraversamento del deserto del Gobi e poi Himalaya sono assolutamente irrealizzabili. E taccio sul finale, va. Il pubblico però non c’è cascato, manco in America: a fronte di un budget di 30 milioni, solo 20 gli incassi, di cui manco 3 negli States. Riuscirà Weir a fare un altro film, dato che ormai va per i 70?

La prima sensazione è che, nonostante la durata di circa 130 minuti, ci siano parecchi buchi ( si veda la fuga dal Gulag, davvero brevissima o la rapidità con la quale si conclude l’ultima parte).
Il film non è, per fortuna, romanzesco, però non riesce nemmeno ad essere qualcosa di altro, di rigoroso, di estremo, come avrebbe potuto diventare un film che racconta la ricerca della libertà attraverso la fuga in territori ignoti e ostili.
Buono il cast, dove svetta Ed Harris.

Un po’ buttata lì la chiusa finale col protagonista che torna a casa dopo il crollo del comunismo

Soprattutto inverosimile e troppo hollywood becera.