Un americano a Parigi

Di Vincente Minnelli
Con Gene Kelly, Leslie Caron, Oscar Levant, Georges Guetary, Nina Foch

Visto ieri per la prima volta, mi ha deluso… storia assurda, sceneggiata malamente (il pazzesco finale, degno di una storia di zio Paperone di quelle peggiori) ed un insostenibile balletto di qualcosa come 17’ che dà al film il colpo di grazia.
Demy diceva di essersi ispirato ai film di Minnelli per i suoi capolavori: cazzo per fortuna ha fatto decisamente di meglio… non so, sarà una questione di gusti, di sensibilità. Non discuto la bravura di Kelly (anzi), ma questo film per me è palloso come pochi, se togliamo la sequenza del suo amico che sogna di interpretare tutti gli elementi di un’orchestra, pubblico compreso.

Visto ieri. Ho scritto questa mia recensione:

Jerry Mulligan (Gene Kelly) è un ex soldato americano che ha avuto modo di combattere in Europa nel corso della Seconda Guerra Mondiale. Finito il conflitto Jerry decide di trasferirsi a Parigi per coltivare la sua più grande passione: la pittura.
Jerry fa una vita non facilissima e i soldi non sono mai abbastanza per le sue ancora non molto considerate opere. Nonostante tutto è una personale solare capace di socializzare con tutto il vicinato. E uno dei suoi vicini è il pianista Adam Cook (Adam Levant) anch’egli americano in cerca di successo a Parigi nel mondo della musica.
Un giorno però Jerry, mentre espone i suoi quadri in una stradina di Montmartre, desta l’attenzione di una ricca signora di nome Milo Roberts (Nina Foch) che gli compra due quadri (aiutandolo tantissimo dal punto di vista economico) e cerca di aiutarlo ad emergere.
Al tempo stesso Jerry è folgorato da una giovane commessa di una profumeria (Leslie Caron) con cui inizierà una relazione.
Jerry dunque si trova in una duplice situazione: innamorato di una donna, ma desideroso di accontentarne un’altra per la generosità.
Tutto questo scatenerà equivoci e storie incrociate.
Ovviamente tra un passo di tip –tap e l’altro.
Il film fu un vero successo per l’epoca: si aggiudicò sei statuette all’Oscar tra cui miglior film e rappresentò uno dei primi veri “spot” a stelle e strisce nei confronti delle mete turistiche europee (nonostante tutta Parigi nel film sia ricostruita in studio). E’ dunque un adattamento filmico e cinematografico della nota opera del mai troppo omaggiato George Gershwin.
Il film è forse anomalo nel suo genere in quanto i pezzi recitati sono molti e quelli ballati-cantati pare non superino la mezz’ora. Nonostante questo, che volendo potrebbe benissimo estromettere la pellicola dal genere del musical, ancor’oggi il film è considerato uno dei miglior musical di sempre.
Pur essendo molto criticato. A tratti giustamente.
Infatti è giusto segnalare una certa cesura tra la prima parte del film, gradevole ma non ottimale, e l’ultima dove gli incroci e le parti ballate assumono un ruolo di primo piano.
Da questo punto di vista impossibile non segnalare la sequenza finale del film, della durata di 17 minuti, in cui si registra una visione onirica del protagonista tramite balli e scenografie mutanti nella Parigi ricostruita in studio. Una scena analoga esiste anche in “Cantando sotto la pioggia” ed effettivamente si tratta di una caratteristica constante del genere. Solo che mentre “Cantando sotto la pioggia” è una pietra miliare che supera gli steccati del genere musical per elevarsi a perla della cinematografia mondiale, “Un Americano a Parigi” invece non arriva a tanto ma confeziona una scena conclusiva migliore. Tra le cose più grandiose e belle che il cinema abbia mai prodotto. Rendendo ben chiaro il marchio del regista sul film.
La bravura di Minnelli è infatti quella di unire elementi artistici, non necessariamente legati alla settima arte, e trasportarli sul grande schermo: di fatto una parte di coreografia parte da un disegno di Toulouse Lautrec, e l’opera pittorica giunge sullo schermo unendo caratteristiche tipiche dell’arte parigina. Del resto è doppiamente significativo che il film si concentri su un pittore, un pianista e un cantante.
Gene Kelly è formidabile: non solo è bravo recitare ed appare simpatico, ma è un maestro nella danza e il suo tip-tap non poteva che restare nella storia. Il resto degli attori fa bene il suo dovere ed è giusto segnalare la presenza dell’allora esordiente Leslie Caron che però immaginavo più graziosa in questo film.
La regia di Minnelli traspare maestria e in alcuni casi, oltre ai primi piani storici, veramente osa tantissimo pur permanendo una direzione a tratti accademica nella definizione del genere in questione. Tra l’altro da segnalare una certa originalità nella narrazione dove spesso si tende a far parlare i singoli personaggi delle proprie vicende personali. Personaggi che comunque sono un numero abbastanza ridotto. E ciò rende la storia abbastanza circoscritta.
Le musiche di Gershwin non hanno bisogno di miei commenti: già conoscevo musicalmente quest’opera e non si può non scorgere quel tocco prettamente gershwiniano che forse è destinato a non avere eredi o emulatori in campo musicale.
Un film che forse andrebbe bollato con il semplice voto scolastico del “7”. Ma aggiungendo un asterisco. Un asterisco che ci ricorda come il “film nel film” di viscontiana memoria (do you remember “Il Gattopardo”?) alla fine della pellicola è qualcosa che merita il 9.
E’ da sola val bene la visione di un film su Parigi.