Una donna chiamata Apache

Personalmente non amo i western, ma siccome che questo film prometteva materiale più di exploitation mascherato da western, me lo sono guardato.
Poveristico e un po’ squallido, ma ci sono abituato per quanto riguarda il cinema italiano dei '70. I due protagonisti sufficienti a rendere credibile la messa in scena e l’indiana devo dire che era piuttosto conturbante.
Insomma, come exploitation e storia sentimentale non m’è dispiaciuto; come western sicuramente molto scialbo per la pochezza dei mezzi. C’è quello che dovrebbe essere un villaggio western abbandonato…sì, ma dalle produzioni, con tanto di erba alta. Decadente.

La protagonista non è male. Ho scoperto che alla fine non ha più fatto film ma lavora come truccatrice. Al Cliver non al massimo delle aspettative. C’è del Fulci qui e là. Infatti il regista ne ha appreso molto. Per il resto lo davano come un western tra i più truci… Ma di truce c’è solo l’assenza di mezzi e di comparse. Non un film che segna un sottogenere, ma sinceramente mi piace.

A mia memoria uno dei film più poveri mai visti. Location da scampagnata domenicale, attori non pervenuti, regia approssimativa e fotografia minimale (anche se invero la pineta viareggina poneva dei limiti oggettivi, per esempio sui campi lunghi). Aggiungiamoci che la voce di Amendola non c’entra una mazza con Cliver/Conti.
Da buttare allora? No. La storia ha un suo perchè (a differenza dei dialoghi da recita scolastica) e si vede che dietro il carneade Mariuzzo c’è uno scrittore non banale. C’è lui dietro alcuni capolavori Fulciani come L’Aldilà e Quella Villa e si vede che sapeva raccontare. Peccato che lo spunto non sia stato minimamente valorizzato ma è comunque sufficiente per vedere il film fino alla fine con un sottile piacere.
Mi è venuta voglia di conoscere qualcosa di più del Mariuzzo regista per cui cercherò di recuperare gli altri tre suoi film.

in teoria il film poteva essere anche interessante, come idea di partenza: fare una versione italiana di Soldato Blu. In pratica e’ forse il western piu’ squallido e asfittico di mezzi e location che abbia mai visto, altrettanto irritante di “Altrimenti vi ammucchiamo” sebbene per altre ragioni. Posso capire i film poveristici di Fidani o Gianni Crea, che non raccontano ne’ storie complesse ne’ hanno bisogno di grandi mezzi per mettere in scena i soliti banditi vs buoni o bastardi vs altri bastardi nei soliti villaggetti western ormai visti e rivisti e accettati dal pubblico senza grossi problemi: e proprio per questo son dei fumettoni divertenti e avvincenti, proprio perche’ senza pretese, come i vecchi fumetti minori tipo “Sartana” dove i disegni, la confezione, le trame erano di quanto iu’ poveristico offrisse il mercato ma si leggevano con piacere e tutti d’un fiato.
Qui invece si voleva creare un film dalle grandi ambizioni narrative, con protagonisti e tematiche inusuali (gli indiani, le loro tribu’, i difficili rapporti con l’uomo bianco) e non c’era una lira manco a chiederla in prestito. I film che vogliono avere ambizioni autoriali od obiettivi alti e che si scontrano con la totale assenza di mezzi sono quelli che piu’ mi intristiscono: ho provato un senso di asfissia totale nella prima (ed unica) volta che sono arrivato stancamente alla fine. E’ come dire che voglio creare un fumetto alla Blueberry e poi chiamo gli sceneggiatori ed i disegnatori di "Albo Trinita’ "… non puo’ che venirne fuori un disastro che annulla anche la buona idea di partenza e le alte intenzioni narrative. E magari prima di raccontare una storia sugli indiani, la loro tragedia e distruzione da parte dell’uomo bianco, casomai un pochino di ricerche antropologiche o filologiche averebbero anche potuto essere utili: qui vengono descritti con il medesimo immaginario di un ragazzino italiano cresciuto solo a leggere “Pecos Bill” di Guido Martina…
In confronto, il dittico di Bruno Mattei di pochi anni dopo risulta un capolavoro.