71 Fragmente einer Chronologie des Zufalls - 71 frammenti di una cronologia del caso (Michael Haneke, 1994)

Capitolo finale della trilogia della glaciazione ed episodio tra i più ostici ed impenetrabili dell’intera filmografia di Haneke. In sostanza la pellicola si espande da un evento criminoso e dalle sue vittime. Chi sono? Cosa facevano prima? Quali sono le loro storie?
Il mondo odierno è pieno di notizie di mass murdering ma chi erano e cosa facevano prima di morire le ignari vittime?
In sostanza questi 71 frammenti raccontano le storie di alcuni personaggi apparentemente non legati da alcun collegamento se non da quello finale. Sono episodi velati di solitudine, amore, odio, incomprensioni e quanto altro è capace di distruggere o consolidare una famiglia.
Montaggio spezzato e nevrotico, qualità che tende a rendere la pellicola più violenta, inafferrabile ed affilata.

Io possiedo il DVD Tartan di buona qualità contenuto all’interno di un cofanetto che racchiude l’intera trilogia. Audio solo tedesco e subs in inglese.

1 Mi Piace

Una costruzione cinematografica al servizio dell’antinarratività della vita. Non c’è spazio per i protagonisti, per gli antagonisti, per le storie. L’individualità è totalmente annullata dal caso, unica istanza narrante (impersonale) dell’esistenza. Non sarà casuale che in uno dei frammenti si parli dello Shanghai come di “abilità contro il caso”, come se il gioco - e la vita con esso - consistesse nell’arrabattarsi proprio (e solo) contro il caso.
La vita scorre sullo schermo in modo monotono e meccanico, le relazioni sono troppo fredde e aride per far sì che ci sia un po’ d’amore - e se questo vi compare, rimane inespresso o sfocia nell’ambiguità di un egoismo che si dimena invano.
La divisione strutturale classica è ribaltata, e a spaccare il film è uno dei frammenti finali, il quale chiude il film, ma allo stesso tempo ne ricompone l’impostazione (apparentemente) frammentaria.
La freddezza è riscontrabile anche nella fotografia, nel montaggio che tronca i frammenti in modo spietato, nella (solita) assenza di musica extradiegetica, ma la messa in scena evidenzia la sensibilità umana ed artistica di Haneke: l’atto finale, prima ancora di essere un crimine, è letto come un prodotto della banalità e dei meccanismi sui quali si fonda la società consumistica. E contro l’atto il regista non punta il dito, punta la macchina da presa: le vittime restano fuoricampo non perché non siano importanti, bensì perché l’autore ci costringe, con grande tatto, a riflettere sui motivi misteriosi per cui un essere umano arrivi ad agire in modo così irragionevole contro altri esseri umani.

3 Mi Piace