Assisi Underground (Alexander Ramati, 1985)

In occasione della giornata della memoria ho deciso di riguardarmi questa pellicola negli ultimi anni poco considerata, che mi venne mostrata in classe alle scuole medie.
Le reminescenze che ne avevo erano molto vaghe, ma ricordo chiaramente che mi colpì, che in qualche modo mi turbò. E rivedendolo adesso ho capito il perché.

Il film, specialmente nella prima parte, riesce a trasmettere in modo possente un atmosfera di ansia, di angoscia, di insicurezza profonda. Un gruppo di profughi ebrei viene nascosto nel convento di San Quirico da un frate coraggioso con la complicità della Badessa. La città, sotto il comando degli invasori tedeschi, è continuamente teatro di controlli e rastrellamenti dei militari, che sanno della presenza dei profughi e che vogliono a tutti i costi scovarli, anche perché tra di essi si nasconde un importante fisico che il reich vuole far lavorare alle sue dipendenze. La situazione in città è tesa, l’aria che si respira è opprimente e asfittica, cadaveri per le strade, delazioni e deportazioni all’ordine del giorno, retate della polizia anche nelle chiese e nei conventi. I rifugiati vivono nascosti in una costante angoscia. Dev’essere stato questa atmosfera che da bambino mi colpì tanto.

Il film cerca di delineare un affresco della situazione che si viveva in quegli anni nell’italia occupata, con un particolare focus sulle vicende vissute dalla comunità ebraica, raccontando dettagliatamente una vicenda esemplare realmente accaduta. Si cerca di non tralasciare nulla della complessa situazione politico sociale, mettendo in luce il ruolo di tutte le parti in gioco: i cittadini comuni (divisi tra collaborazionisti, ribelli e cospiratori), i notabili (traditori), le persone di chiesa (sant’uomoni e donne pronti a rischiare la vita per la salvezza dei profughi), i militari italiani, i soldati nazisti (tra i quali, in mezzo a tante persone invasate, crudeli e prive di scrupoli, c’era ancora qualcuno in grado di conservare una certa sensibilità ed umanità).
Questo il quadro dipinto dal film. Manco a dirlo, il regista è un intellettuale ebreo che in tutte le sue opere (tranne quelle giovanili) ha trattato il tema dell’olocausto e della persecuzione.
La pellicola intende celebrare lo sforzo fatto dalla cittadinanza italiana, e dalla chiesa in particolare, per proteggere e salvare gli ebrei dalla persecuzione: una voice over recita infatti alla fine che in Italia l’80% degli ebrei furono salvati dalla deportazione, mentre nel resto d’europa l’80 morì.

Il film in origine venne montato in una versione da 175 minuti, che però fu considerata troppo lunga e quindi fu distribuito nella versione ad oggi visibile, della durata di due ore scarse. Fortunatamente la RAI (chissà tramite quali strani accordi) entrò in possesso della versione integrale e la trasmise in due puntate negli anni ottanta, come riportato da @dona nel topic sulle long version.
Su youtube si trova di tale versione (che immagino si possa definire director’s cut) purtroppo solo la prima parte.
Per cui mi sono guardato la prima parte del film nella versione “long version” e la seconda parte nella “regular version”. A parte alcune differenze di montaggio (alcune sequenze che nella long erano antecedenti nella versione ridotta sono state inserite dopo) devo dire che la versione lunga riesce a definire molto meglio l’atmosfera e le sottili dinamiche causa/effetto delle vicende mostrate, mentre nel successivo rimontaggio le cose paiono succedere tutte un po’ troppo in fretta, a volte si passa da una situazione all’altra in modo estremamente sbrigativo.

La maggior pecca del film l’ho trovata nell’interprete principale, Ben Cross, che impersona Padre Ruffino con una caratterizzazione in diversi frangenti fuori luogo: fa il figo della situazione, gigioneggia, sboroneggia, atteggiamenti che ho trovato fastidiosi e poco verosimili. Se si voleva rendere l’idea che questo personaggio facesse di tutto per portare un po’ di buon umore e di fiducia al gruppo degli affranti rifugiati, si poteva sicuramente comunicare questo concetto in modo più efficace e meno macchiettistico. Addirittura in un frangente, in un concitato colloquio con la Badessa, agita le mani senza senso, proprio come un americano che scimmiotta gli italiani, facendo il gesto del “che cazzo vuoi” per sottolineare una situazione di pericolo.
Inoltre ho trovato oltremodo fuoriluogo che in un film ambientato negli anni del regime e che celebra le persone che misero a rischio la propria vita per salvare quella altrui reciti in una parte di contorno (nel ruolo di Suor Beata) Alessandra Mussolini, che per storia familiare e visione politica avrebbe fatto meglio a lasciare quel ruolo a qualche altra interprete (sarò estremo ma ritengo la sua partecipazione a questo film un insulto e non capisco come la produzione abbia potuto ingaggiarla).
Segnalo inoltre che tra i personaggi del film troviamo anche Ginettaccio Bartali, interpretato da un entusiastico Alfredo Pea (che però non ho trovato del tutto efficace).
Estremamente efficaci invece le interpretazioni di molti altri veterani del cinema italiano persenti nella pellicola, in particolare Riccardo Cucciolla (il tipografo che clandestinamente stampa documenti falsi per gli ebrei), Venantino Venantini (rude ma “onesto” contrabbandiere) e Paolo Malco (uno degli ebrei nascosti nel convento).

In definitiva non un capolavoro ma un film che vale la pena di essere visto.

Se qualcuno ha la registrazione di entrambe le puntate della versione lunga trasmessa a suo tempo dalla rai si faccia vivo, mi piacerebbe molto rivederlo in versione integrale!
In mancanza d’altro, per ora, vi lascio qui di seguito la prima parte di questa “long version”:

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