http://www.fantagazzetta.com/rubriche/sul-carro-non-dei-vincitori-ne-dei-perdenti-ma-della-mamma-187325
[i]“Due anni fa,
quando cominciò la mia avventura azzurra,
andai a vedere un Inter-Roma di Supercoppa.
In campo c’erano due soli italiani.
Capite?”
[Cesare Prandelli, 2012, con riferimento a Inter - Roma del 21.08.10. In realtà gli italiani in campo erano 4: Cassetti, De Rossi, Perrotta e Totti. Ne subentrò un 5°, Materazzi, a 2’ dalla fine. Ma il succo del discorso non cambia]
Tutti coloro che oggi, ed ininterrottamente da quella sciagurata finale di Euro 2012, si ostinano a vivere la loro assurda e incomprensibile vita da tifosi anti-italiani (o non tifosi italiani, il confine è labile), in buona percentuale sono anche d’impostazione anti-Prandelliana. A tali subumani vengono freddamente destinati due tipi di ruoli, a cose fatte: i pronti salitori - si, esiste il termine: l’ho trovato su Treccani - sul carro del vincitore, ed i saccenti premonitori della sciagura. Per entrambi la pena prevede la discesa - oltre che dal carro, in caso di vittoria - nel primo cerchio dantesco: il Limbo. Ovvero, dove si trovano tutti coloro che, non avendo ricevuto il battesimo ed essendo stati privi della fede, non possono gioire della visione di Dio, ma non sono nemmeno puniti per un qualche peccato.
Vero è peraltro che, nel folto e rubicondo mondo dell’ipocrisia calcistica, c’è spazio anche per coloro che, pur dicendosi orgogliosamente tifosi, rigettano nel magma destrutturato del paradosso e dell’idiozia qualsiasi decisione, sostituzione, dichiarazione e respiro del nostro commissario tecnico. E, peraltro, a prescindere di chi egli sia. Altra collocazione politico-polemica parecchio discutibile, ma addirittura più deprecabile delle precedenti: perché oltre che essere assolutista e vagamente despotica, è anche particolarmente comoda. A differenza delle altre che, in generale, sono scomodissime perché alterano quell’unico lascito di morale e sentimento comune - il patriottismo, foss’anche sportivo - che quantomeno è posizione anarchica ed, in quanto tale, mal vista.
Bene, tornando ai detrattori la loro collocazione nell’Inferno è nella quarta bolgia dell’ottavo cerchio, quello della fraudolenza. Qui vengono puniti gli indovini e i maghi, che avanzano con il volto distorto all’indietro, in antitesi con la loro convinta pretesa di riuscire a vedere avanti nel futuro. I poveretti difatti si arrogavano, in vita, ingannando l’ascoltatore, di avere poteri riservati esclusivamente a Dio.
Costoro, ovviamente, in quanto fieri appartenenti al popolo dei C.T. senza portafogli, deprecano ogni scelta diversa dalla propria ardita convinzione: ma non hanno mai trascorso, e mai trascorreranno un secondo della propria vita al fianco di quelli che in campo vengono o non vengono messi, che in Brasile vengono o non vengono portati. Ecco perché, nel campo dell’idiozia, si collocano a metà tra gli accidiosi del “Che ha fatto l’Italia?” e gli abitanti del Limbo di cui sopra.
Escluse queste fette, purtroppo belle grosse, di italiani, ci siamo noi. Noi che l’azzurro ce l’abbiamo tatuato sul cuore e le vicende dell’Italia, nel bene o nel male, impresse nella memoria. Noi che, in quanto tali, ci nutriamo d’una sorta di imponderabile sesto senso, tendenzialmente ottimista, che però ci consente di vedere oltre un palmo di naso. Oltre l’ipocrisia e la comodità del “l’avevo detto, io, che facevamo cagare”.
Quelli così - e mi ci metto pure io, convintamente -, invece, ci credono sempre. E non hanno neanche paura di ammetterlo, con puerile candore. Lo feci esattamente due anni fa, quando il primo corso di Prandelli toccava il culmine, e alla vigilia di Euro 2012: “I 10 motivi per cui vinceremo l’Europeo”, era il titolo di quel pezzo. Preso, come già sapevo, abbastanza male da parecchi lettori.
“Nelle prossime uscite: ‘I 10 motivi per cui credere al creazionismo’ e 'I 10 motivi per cui credere all’evoluzionismo” e “Che articolo del cazzo…” furono i commenti meno feroci.
Di personaggi che, come prevedibile, scomparvero rapidamente dall’orizzonte dell’opinione dopo i primi sorrisi regalatici da Cassano e Balotelli: i ragazzi terribili che nessuno voleva in Nazionale. Escluso Prandelli.
Proprio lui: l’uomo che prese in mano il rottame, abitato esclusivamente da mezze cartucce e campioni esausti ed a fine carriera, che la missione di Lippi del 2010 gli aveva lasciato in pesante dote.
Cesare, quel rottamente, l’ha rivitalizzato. Ha selezionato i pochi che potevano, per merito, anagrafica, e motivazioni, continuare il loro percorso, ed aggregato loro un’enorme truppa di giovani e giovanissimi. Una ventata d’aria fresca in un blocco, quello Nazionale, che storicamente di under-25 ne ha visti pochi. E che mai e poi mai ha permesso infiltrazioni di caratteri diversi, sopra le righe e, per questo, da sempre ai margini. Prandelli ha superato uno ad uno questi tabù: dando anzitutto estrema fiducia a chi, la classe, ha mostrato di averla a prescindere dalla standardizzazione professionale. Poi, mettendo in campo un obbligo deontologico, più che morale, spacciato per codice che - grave errore - non è riuscito fin dall’inizio a proporre come linea guida, e non a imporre come conditio sine qua non. Per il resto, ci ha regalato un Europeo che definire emozionante è dir poco, ed un percorso mai particolarmente rischioso di avvicinamento ai tornei che ci si ponevano dinanzi.
L’altro handicap, semmai, risiede nella scarsissima dose d’autorevolezza ch’è riuscito a conferire all’Italia nelle partite non decisive: ma, ed il cinismo mi sia d’aiuto, preferisco sempre una Nazionale tanto piccola e misera in sede amichevole quanto orgogliosa e robusta quando il momento lo richiede. Ecco perché anche le sue scelte di oggi, quelle più sofferte perché prevedono il dover dire “arrivederci” se non adirittura “addio” a chi è rimasto a casa, vanno condivise. Analizzate, studiate, affinate con l’elucubrazione, se necessario: ma certo non apostrofate con gli epiteti che tanto vanno di moda nelle ultime ore e che, storicamente, appartengono alla flangia degli eterni scontenti o di coloro che ancora adesso ritengono la maglia azzurra un banale prolungamento cromatico, più o meno armonico, di quella che vestono per 23 mesi di fila.
E allora, ben venga la chiamata di Verratti, che da un biennio dimostra di poter vestire i panni del leader tattico in un club europeo di primissima fascia, e che sarà utile nei momenti in cui Pirlo non potrà far meglio, o quando sarà necessario raddoppiare la dose di fosforo in campo. Ben vengano Cassano e Balotelli, ultimi due fuoriclasse in grado di farti perdere ma anche vincere qualsiasi partita grazie alla loro imprevedibile follia. Ben venga addirittura Insigne, ragazzo dalle indubbie doti tecniche che il sottoscritto ha manifestamente, sempre, criticato per la scarsa freddezza sotto porta ed una maturità tattica ancora da affinare, ma che può esser utilissimo per il cambio modulo, insieme a Cerci e Candreva. Ben venga Darmian, fiero erede dell’ormai sempre meno foriera stirpe dei terzini azzurri.
E ben venga anche Paletta, l’ultimo degli oriundi, che non ha praticamente mai giocato una partita internazionale ma che è anche, bianconeri esclusi, il miglior difensore centrale della Serie A. E con lui anche Parolo, protagonista d’una stagione straordinaria al fianco di Fantantonio a Parma, ed in grado di imporsi come uno dei centrocampisti goleador di scorta meno attesi e, proprio per questo motivo, sorprendenti.
Tutte piccole soddisfazioni personali che, singolarmente, difficilmente bastano a fare il pari con i fiumi di fiele che, in questi istanti, stanno ingollando Giuseppe Rossi e Riccardo Montolivo. Per entrambi, da oggi, si potrà parlare di maledetta Irlanda: se per il secondo la sorte è stata abietta e infame, per Pepito l’esclusione, forse più amara di quella del 2010, è tutta da imputare ad uno stato di forma ancora incompleto che i 70 minuti di ieri sera hanno certificato come irraggiungibile. E dispiace anche per Destro: ma il nuovo corso azzurro, che avrà luogo da settembre in poi, ripartirà anche da lui, Romulo ed El Shaarawy.
Di storie personali di rara bellezza e di estrema sofferenza come queste, d’altra parte, donna Italia è da sempre mamma prolifica. E’ anche per questo che noi, che all’Inferno dell’ipocrisia non andremo, di questa genitrice di passione siamo figli amanti e, soprattutto amati. Non lasciamola sola in nessun momento, soprattutto adesso che di storie uniche s’appresta a raccontarcene altre: e viviamole con estrema attenzione e dedizione. Anche perché sono quelle che dovremo raccontare ai nostri, di figli, quando ce ne sarà l’occasione. E allora, cara mamma Italia, portaci con te nella culla del calcio. E lì accarèzzaci, coccolaci, viziaci e, quando necessario, rimproveraci e prendici a schiaffoni.
Ti amiamo e t’ameremo non solo per il tuo affetto, ma anche per tutto quel che c’hai insegnato e ci insegnerai. Perché, come diceva Enzo Biagi, le verità che contano davvero, i grandi principi, alla fine, restano due o tre: quelli che ci insegnano le nostre madri da bambino.
E tra questi c’è anche l’amore, spassionato, indefesso, spesso irrazionale - e per questo ancora più bello - per la nostra Nazione che, ai Mondiali, diventa Nazionale.
Alfredo De Vuono [/i]