Nel 1987 a Goiania, in Brasile, due uomini prelevarono da un ospedale abbandonato un apparecchio usato per la radioterapia.
L’oggetto, che conteneva materiale radioattivo, causò la morte di 4 persone e ne contaminò gravemente circa 250.
Questo film è una ricostruzione di quegli eventi.
Ho pensato la stessa cosa, sai, perché è inevitabile vedere il lato grottesco della vicenda.
In realtà oltre al dramma sembra quasi di assistere a un horror soprannaturale.
C’è qualcosa di orrorifico nella maniera in cui l’oggetto sembra quasi vivere di vita propria e attrarre alcune persone, spingendole a toccarlo, manipolarlo, smontarlo.
Stessa cosa accade con la fluorescenza blu del cesio fuoriuscito, uno dei personaggi ne è come stregato, immagina di guidare auto blu fluorescenti, lo usa per decorare le pareti del bagno di casa.
Riguardo al film: non siamo certo dalle parti del capolavoro, ma la storia picchia abbastanza duro, anche perché rivolta a un pubblico che già conosce gli avvenimenti e quindi sa come andrà a finire.
Si assiste impotenti agli eventi.
Colpisce la scena in cui uno dei protagonisti, una donna, decide di portare la capsula da un medico intuendo che sia la causa di tutti i malori delle persone coinvolte, ma lo fa usando un autobus affollato.
Tra l’altro il film inizia mostrando delle persone in un autobus coi loro nomi e cognomi, e una didascalia informa che sono i sopravvissuti all’incidente; vedremo poi quelle stesse persone proprio nella suddetta scena.
Effettivamente persone coinvolte all’epoca dei fatti parteciparono al film come comparse, ma non saprei dire se sono loro, né se nel caso si trattasse di passeggeri del bus chiamati a interpretare loro stessi.
Ad aggiungere tragicità, lo stesso regista morì di cancro e si sospetta che sia stato a causa del contatto con luoghi contaminati durante la lavorazione del film.
Almeno questo è quello che ho letto.