Dutch wife in the desert aka Une poupée gonflable dans le desert (Atsushi Yamatoya, 1967)

Visionato grazie al cofanetto Pink Films della francese Carlotta.

Uno di quei film che se non segui con attenzione non ci capisci un cazzo. Ed avendolo visto alla sera stanco e un po’ sonnolento, inevitabilmente mi son perso dei passaggi.

Nella tradizione del cinema un po’ eversivo ed un po’ rivoluzionario dei vari Wakamatsu e Adachi, una storia che ruota intorno a sesso, violenza e yakuza, girata con uno stile estremamente libero sia a livello formale, sia a livello dei contenuti (ci sono anche passaggi un po’ “nouvelle vague” in stile Matsumoto). Fa da contrappunto all’estrema libertà stilistica una colonna sonora jazz sfrenata ed incalzante.

Un film circolare, che inizia nella stessa maniera in cui finisce, con una sorta di investigatore privato/contract killer che viene ingaggiato da un uomo per seguire le tracce della sua donna, scomparsa, nelle mani di una gang criminale che la sfrutta per realizzare filmini porno illegali a base di violenza e sangue.

Un film visionario, in cui realtà e visioni si mischiano, facendoci perdere la bussola e non consentendoci più bene di capire su che piano ci troviamo. Il finale è simbolico ed ermetico, complice la stanchezza davvero non ci ho capito molto dei significati soggiacenti. Per fortuna ogni film che fa parte del cofanetto ha una prefazione (da vedere rigorosamente DOPO!) che spiega contenuti e tematiche dell’opera, ora vado a guardarmela! :sweat_smile:

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Non per “farmi i bocchini da solo” (non so più che film sto citando… un Tarantino?), ma sono così onnivoro e affamato di cinema che ormai riesco a dire la mia in modo competente e puntuale anche su cinematografie (come il pinku eiga degli anni '60) che sono consapevole di conoscere solo marginalmente :fapfap

Il critico che introduce il film fornisce delle informazioni interessanti che non conoscevo relative all’extra-filmico:

  • in primis che il film, così onirico e surreale, in giappone ha uno stato di cult-movie paragonabile a quello che ha El topo in occidente.
  • in seconda battuta che Yamatoya, che soprattutto era sceneggiatore e lavorava in particolar modo nella factory di Suzuki alla Nikkatsu, ha esordito alla regia su spinta di Wakamatsu, che ne aveva notato le doti autoriali e le affinità con la sua concezione di cinema così underground e sovversivo.
  • infine che all’epoca in giappone c’era un grande dibattito sulle teorie registiche di Matsumoto e che questo film cerca di mettere in pratica ciò che matsumoto teorizzava in alcuni suoi saggi, essendo al contempo documentaristico, fiction e sperimentale, cercando di abbattere le frontiere tra queste tre diverse concezioni di cinema.

Per il resto, relativamente all’analisi della pellicola, il critico condivide sostanzialmente le mie osservazioni, pur argomentandole con maggior precisione.

Care label italiane, in caso voleste fare qualche collana sul cinema pinku considerate pure di chiamarmi per fare gli extra :rofl: :rofl: :rofl:

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stravenduto anche solo per questo. se poi mi aggiungi che

sguinzaglio immantinente i segugi!!

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grazie centomila ma per ora è lo stand by assoluto, sono ahimé in panne con le visioni e tale resterò ancora per un po’…

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