Filofax, un'agenda che vale un tesoro - Taking Care of Business (Arthur Hiller, 1990)

Un classicone del cinema “content-free” che per qualche allineamento astrale ho beccato nelle serate di italia 1 più frequentemente di quanto mi aspettassi, e che per ragioni che non ho mai del tutto compreso mi fermavo a vederlo in allegria. Ho sempre ritenuto che gli anni 80, da un punto di vista puramente estetico, fossero finiti intorno al 1993: questo film è del 1990 e ne rappresenta perfettamente la coda lunga, a partire dalla locandina e dai protagonisti. C’è tutto: lo yuppie workaholic (Charles Grodin), il furfante dal cuore d’oro (John Belushi non c’era più, si è ripiegato sul fratello, che in quegli anni era straquotato), la multinazionale giapponese (Mako) che fa tremare i polsi ai gloriosi U.S. of A. in quanto sentono odore di colonizzazione economica, Hector Elizondo che fa lo stronzo e una trama basata sugli equivoci vagamente ispirata a Una Poltrona per Due: non ci sono le gloriose tette di Jamie Lee Curtis, ma c’è la semisconosciuta meteora Loryn Locklin (vista anche in 2013: La Fortezza) che mi insegnò che le ragazze potevano essere gnocche anche coi capelli corti.

Alla fine quello che viene fatto è prendere tutti questi luoghi comuni e mescolarli in un ottimo film da spegnimento cerebrale, e infatti la cosa per cui questo film è più noto è che la sua sceneggiatura è il primo lavoro grosso di J.J. Abrams, prima che iniziasse a scappargli la mano con citazioni e pastiche vari diventando completamente intollerabile, almeno per me.

Il titolo italiano riprende il magcuffin del film: la marca di un’agenda (un organizer, si diceva al tempo) dai poteri quasi mistici che contiene la vita intera di un pubblicitario ricco ed eccessivamente impegnato con grande fastidio della moglie. Questa agenda finisce in mano a un detenuto fuggito dal carcere due giorni prima del rilascio previsto perché vuole vedere i Cubs che partecipano alle world series. Ora, che l’intera vita di un pubblicitario potesse essere nella sua agenda ci pare strano nell’era in cui ogni cosa è sul cloud e suppongo che se lo vedessero i miei figli 'sto film farebbero fatica a capirlo. Io 'sto concetto lo trovo pittoresco, emblematico di un’epoca in cui si cercava di inserire tutte le funzioni di un ufficio in un singolo strumento portatile. Ci siamo riusciti grazie a una pandemia, ma la strada è stata lunga: non dimentichiamo che negli anni 80 c’era roba come questa.

Interessante anche il lato di fantascienza sportiva, che fa vincere ai Chicago Cubs le World Series di baseball per la prima volta dal 1908. Alla fine la vittoria arriverà per davvero, ma solo nel 2016.

Il titolo originale del film prende il nome da una canzone dei Bachman-Turner Overdrive del 1973 suonata durante i titoli di testa.

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