Inizio…
GRAN TORINO
Ecco sì.
Le rughe del cinema.
GRAN TORINO
Lo intitolo così. Sì. “Le rughe del cinema”.
GRAN TORINO
C’è quella fronte aggrottata. Gli occhi piccoli, due fessure di lama acquose. Quelle sopracciglia spelacchiate che marcano il sospetto, una diffidenza sempre desta. Cancelli elettrici comandati a distanza. Per tenere fuori gli estranei. Lo straniero. Il nuovo. E Dio pure.
GRAN TORINO
Un vecchio. Rognoso, grinzoso. Piglia tutti a calci in culo lui. Subito all’attacco. Sputa su tutto. Rogna su tutto.
GRAN TORINO
No trespassing.
GRAN TORINO
L’America?
GRAN TORINO
Forse. Ma per quali americani?
GRAN TORINO
Il protagonista è un polacco. Il suo barbiere italiano. I suoi vicini, gialli dal nome strano. Le teppe son culi negri. O son culi messicani. Il capo cantiere è un irlandese. Ma forse la sua cagna, la cagna del protagonista, quella è americana. O anzi credo. Credo di sì. I suoi figli ed i suoi nipoti, quelli sì che sono americani però. E non son buoni nemmeno per la parte dei cattivi. Eastwood ne fa i più inutili di tutti. Sanguisughe di minchia per cazzo moscio. Gente indolente vuota di tutto. Piena di niente. Americani che girano su auto mandorlate. Dal Sol Levante. Bella porcheria.
GRAN TORINO
Quel ferro ha un gran bel nome. Un nome importante.
GRAN TORINO
E’ Lei l’America. Santa. Buona. Bella. Di valore.
GRAN TORINO
L’America che fu.
GRAN TORINO
L’America che mi ci aggrappo.
GRAN TORINO
Quell’America che pure i gialli si voglion fottere dal garage. Quell’America di cui tutti comprendono la forza.
GRAN TORINO
Ma si va tutti in mona.
GRAN TORINO
Il film pare una confessione strappata al protagonista. Dal protagonista stesso. Una confessione conquistata con la forza della pazienza. Uno specchio piazzato lì davanti. E Clint ci passa davanti veloce. Vergognandosene. Che lui con Dio ci aveva mai perso tempo. Che lui, con Dio, mica che ci aveva mai succhiato dalla stessa tazza, lui.
GRAN TORINO
Una confessione, sì. Ma ce ne vuole di miccia per cavarla fuori. E per cavarla fuori da un’anima così, un’anima repubblicana di un lungagnone piglia-a-calci-in-culo-tutti-quanti, ce ne vuole eccome!
GRAN TORINO
Ma in mezzo a quelle rughe, in mezzo a quel passaggio a nord-ovest per anime perse, fra le pieghe di quella cicoria d’uomo lì, ecco che ci sta pure spazio pei ricordi. L’iconografia. Il Mito.
GRAN TORINO
Quell’uomo. Quella mossa.
GRAN TORINO
Quella pistola a canna lunga. Quello sguardo senza ritorno.
GRAN TORINO
Ed è sicuro che a molti gli è venuto duro assai. Duro assai quando ha estratto il ferro, la canna telescopica baciata dal noto ghigno di Carogna.
GRAN TORINO
Ma il film marcia tutto in mezzo a quelle rughe. Ed è in mezzo a quelle rughe che bisogna guardare. E’ lì che ci sta l’America.
GRAN TORINO
L’America che sarà ma che già è. Per chi se ne vuole accorgere.
GRAN TORINO
E il film finisce proprio come era cominciato.
GRAN TORINO
Dentro ad una cassa.
GRAN TORINO
La chiusura del cerchio. Ma anche tanto coraggio. Vi ci sareste mai messi voi?
GRAN TORINO
E le rughe del cinema ve lo siete mandato giù tutto quanto. Buono dite voi. E vi passate la lingua sugli ultimi rimasugli di sapore. Buono…
GRAN TORINO
Ma quello che avete trangugiato a gran sorsate, ora lo sapete, era solo l’ultima, era solo la prima confessione di quel tignoso, lungagnone, piscia-gialli, sputa-duro, levati-dalle-palle-finocchietto, che a voi piace così tanto.
GRAN TORINO
E tu, spettatore, solo quel suo prete ciula. Ventisettenne e vergine, che di morte ne sapeva un cazzo.
GRAN TORINO
Un gran dritto quel Legno dell’Est pisciato dai corvi, neh? S’è diretto la sua confessione, grandissimo farabutto!, pigliandosi pure in prestito un bel mucchio di pretini ciula. Buci di culo e pelo rosso.
GRAN TORINO
E che ne direbbe John Whayne, eh?