Hardcore Henry - Hardcore! (Ilya Naishuller, 2015)

Una sorta di videogiocone adrenalinico interminabile; già da tempo l’utilizzo delle GoPro e dashcam varie è stato sdoganato a livello professionale per la realizzazione di video sportivi relativamente a discipline particolarmente dinamiche in stile redbull. Qui però si fa il grande passo e si dà dignità cinematografica a questa recente tipologia di videocamere, girando un lungometraggio che si basa sulla filosofia di fondo per la quale queste cam sono state inventate: valorizzare l’azione mozzafiato.

Sono d’accordo con @Giorgio_Brass che dice che il film avrebbe anche potuto essere senza trama o quasi, tanto l’importante era la frenesia e l’adrenalina delle immagini mostrate. Non mi sono invece reso conto di un livello infimo di recitazione, ma forse la mia attenzione è stata dirottata altrove dalla dinamicità delle riprese, non consentendomi di focalizzare questo aspetto.
Non credo che da questo esperimento nascerà un filone, anche perché ormai se uno vuole spararsi un’esperienza di questo tipo trova su youtube migliaia e migliaia di ore di gameplay, avendo la possibilità di guardarsi dall’inizio alla fine videogiochi in prima persona che hanno alle spalle una solida struttura produttiva e un’esperienza tali per cui le storie sono efficaci e coinvolgenti al 200%. Insomma, mentre per il cinema questa modalità è (e probabilmente resterà) un esperimento, in ambito videoludico gli sparatutto hanno una solida tradizione alle spalle, che garantisce un determinato esito del prodotto finale.

Voglio segnalare che l’espediente del cyborg che perde un occhio e di conseguenza ha una visione “sdoppiata” in una sorta di split screen che inquadra contemporaneamente due zone diverse (che è usato più di una volta in Harcore Henry) in realtà l’ho già visto per la prima volta nell’altrettanto sperimentale, creativo ed innovativo (per quanto artigianale ed amatoriale) Medley di Gionata Zarantonello. La megaproduzione russo-statunitense avrà avuto la stessa idea o si sarà limitata a scopiazzare l’intuizione dell’allora imberbe autore nostrano? Oppure l’idea viene in origine da altrove ed io non conosco l’archetipo?