Il Cinema: Impegno o intrattenimento?

Parole sante.
Questa onnipresenza del modello sociale borghese/altoborghese nel cinema italiano e francese è snervante. Sembra che le famiglie normali siano quelle in cui a fine mese entrano stipendi da dirigenti d’azienda, mentre sappiamo che la realtà non è assolutamente così.
Si impone un modello di ordinarietà distorto, al quale tutti coloro che percepiscono uno stipendio normale ambiscono, cercando di inseguirlo attraverso i finanziamenti ed aggrappandosi disperatamente alla fast fashion e similia.

Sono modelli aberranti e quando per caso mi capita di incappare in film di questo tipo mi prudono le mani…

Già Haneke (regista che adoro), tanto per fare un esempio, aveva rotto le palle coi suoi drammi di ambientazione altoborghese. È ora di tornare a fare cinema tra chi sopravvive a fatica stritolato dai meccanismi economico e finanziari della nostra società, nei contesti disagiati, nelle periferie, tra gli ultimi…

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Non sono d’accordo sulle vostre posizioni tranchant. Non ho letto il libro di Camus, quindi non posso giudicare sui quei commenti. Ma il cinema ha sempre fatto film per tutti, da quelli dei “telefoni bianchi” e commedie sofisticate (perché il popolino al cinema vuole sognare quello che non ha e non pagare il biglietto per rivivere le proprie miserie quotidiane) ai film sui contesti disagiati, periferie etc. D’altro canto l’ultimo (o meglio il penultimo) film di Ozon non parla proprio di buona borghesia, tutt’altro. Io sono fiducioso sul regista, vediamo che ne tirerà fuori.

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È giusto che si facciano film per tutti ed è vero che il Cinema, bene o male, si è occupato di tutti i tipi di realtà. E naturalmente non diciamo che la borghesia meriti si stare in silenzio: essere liberticidi è sempre sbagliato. Ma il cinema borghese ha delle grosse colpe nella misura in cui un certo tipo di pubblico non riuscirà più a riscoprirsi meravigliato davanti a un certo tipo di cinema, come quello poetico, laterale e periferico. Una grossa parte del pubblico è come se fosse stata indottrinata da Hollywood, da Cinecittà, ecc., e trova desueto certo cinema di poesia, delicato come quello di De Seta, per esempio, ma pure del primo Pasolini, nonostante quest’ultimo sia strafamoso. A darne prova, gli stessi attori o registi, soprattutto americani, i quali nelle interviste, nel momento in cui elencano i loro film preferiti, non riescono proprio a uscire da certi confini imposti dal cinema commerciale e borghese, certe nuove leve addirittura non citano nemmeno i film in bianco e nero, tanta è massiccia l’influenza su di loro dei nuovi modelli e delle nuove strategie commerciali ed estetiche seguite dagli studios, dalla pubblicità, dai media.
Questa spinta a conformare gli sguardi e a livellarli aziona un meccanismo quasi automatico che conduce alla soppressione delle rappresentazioni proletarie, sottoproletarie e marginali tutte, giacché, quello stesso pubblico (anche quello delle classi sociali più basse) abituato a guardare certo cinema borghese, troverà di poco interesse le narrazioni altre. Ne consegue che i produttori non avranno (come non ne hanno già oggi) più interesse nel produrre film più piccoli, ma sinceri e necessari, preferendo così le autorappresentazioni borghesi, le quali, se da un lato si impegnano nella ricerca e nella descrizione dei mali intrinseci di quel modello (e spesso ci riescono pure bene), dall’altro però si mostrano compiaciute e autoreferenziali, così tanto da mostrarsi indulgenti verso loro stesse.

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però ozon non è mai stato per il popolino (si veda il suo adattamento dello script fassbinderiano, per dirne solo una). perché deve cominciare a farlo proprio partendo da camus, lettura non certo da consumarsi sotto l’ombrellone? e ricordiamo che buona parte della nostra commedia anni 70-80 aveva spesso il proletariato che viveva a strangoloni come protagonista

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Ad un certo punto stavo pensando di leggere un volantino delle BR.

Scherzi a parte, le mie figlie sono abituate al colore, e se provo a propinare loro qualcosa in B/N me lo schifano. Ma son fiducioso sul futuro, la più grande mi ha chiesto di vedere Metropolis. Questo solo per dire che ovvio che l’orizzonte delle nuove leve sia limitato, se hanno solo Netflix come punto di riferimento.

Comunque il cinema è nato come “entertainment”, poi l’avranno anche chiamato “la settima arte”, ma alla fine sin da Melies o Cabiria il punto era conquistare il più alto numero di spettatori. Poi sì, l’estremizzazione politica degli anni 70 ha portato ad un sacco di film impegnati sul sottoproletariato & co., e meno male che poi sono arrivati gli anni 80 a spazzare via tutto con l’edonismo reaganiano. Come diceva la Fenech a Pozzetto, basta con sti film cecoslovacchi, portami a ballare. Vedi New Order post pippe mentali di Ian Curtis.

Tornando a bomba, ho visto quasi tutto Ozon, mi piace, e onestamente non ho classificato i film in base a “popolino sì/popolino no”, 'mporta sega (di questo e del popolino), casomai li ho valutati per le emozioni che mi hanno trasmesso (molte, a partire da 5x2).

Poi sono d’accordo che le immagini paiono uno spot di D&G, ma aspetto comunque di vedere il film prima.

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Ma infatti, tu ha ragione, il cinema è giusto che sia anche intrattenimento, come è giusto che tutto lo spettro sociale venga rappresentato e accontentato. Il problema sorge quando questa democraticità viene minata dai circuiti di distribuzione, di fruizione e dai media (basti guardare i servizi del tg1 sui film in uscita). Mi sembra evidente che lo sguardo di una grossa parte del pubblico non sia più così vergine, e il fatto che sia stato forgiato con un pesante imprinting mi sembra incontrovertibile.
Tu hai parlato della stagione dell’ impegno, giustamente, ma questa rigidità nella prospettiva ti fa perdere l’orientamento tra i due estremi, perché non ci sono solo l’intrattenimento e l’impegno. Non sto dicendo che il cinema debba essere solo quello politico o quello impegnato, e siamo fortunati che non sia così. In mezzo (anche se è un cinema che sta a margine) però esiste tutto un modo di girare più libero, un modo di scrivere più anarchico, a partire dal cinema di poesia, il quale non ha nulla da spartire con i gusti preconfezionati del target medio. E proprio perché non vende, non viene foraggiato. Lo sguardo è settato e chiede il pret-à-porter, nutrito da certa industria cinematografica e culturale che non ha mai sentito il bisogno di uscire dagli argini, perché non ne ha interesse soprattutto, ma anche perché conviene che le cose vadano così. Sotto il fascismo qualcuno pensò bene di mettere in piedi Cinecittà, con l’occhio rivolto a Hollywood per fare sì che anche l’Italia avesse la propria industria cinematografica. Ma solo più tardi si resero conto che per avere un’industria cinematografica, c’era bisogno di alfabetizzare il pubblico. Ecco, io ho sempre creduto che l’Italia sia rimasta lì, non abbia fatto alcun progresso, dimentica di un errore talmente grande da essere inammissibile.

Ps sono sicuro che le tue figlie stiano crescendo bene, con un padre così appassionato e sempre molto preciso non potrebbe accadere il contrario. È giusto che abbiano i loro gusti anche in termini di estetica, ma io naturalmente per “nuove leve” intendevo gli attori, i registi, i tecnici, ecc. È pacifico che i gusti debbano essere rispettati, ma a me sembra che manchi proprio la conoscenza di ciò che il cinema è stato, un corposo nucleo culturale da cui non si può prescindere, secondo me.

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Apro un topo a parte perché son stato il primo a pisciare fuori dal vaso, e ormai non si parla più di Ozon ma del soggetto in questione. Mi cospargo il capo di cenere e provvedo.

Non sono del tutto d’accordo, in Italia un’industria cinematografica importante c’era ben prima di Cinecittà, pensiamo a Cabiria, ed era una delle più importanti in Europa, se non la più importante. Per cui in buona parte il pubblico era già alfabetizzato, vuoi coi nostri film, vuoi con quelli che arrivavano da fuori. E poi, avemmo avuto Fellini senza la magia di Cinecittà, non credo.

E non entro nemmeno nel calderone del “i film che una volta erano considerati leggeri e ora sono rivalutati”.

Personalmente continuo a preferire il più debole film di Hitchcock a La Vie rêvée des anges (il primo mattone che mi è venuto in mente).

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Un modesto intervento personale, in mezzo ai vostri. Ben più seri e poderosi (o ponderosi? Boh :winking_face_with_tongue:). Proprio il Venerabile Sommo Hitchcock, in tempi non sospetti, disse qualcosa del tipo “Il pubblico quando va in sala non vuole vedere le proprie miserie e i problemi quotidiani. Vuole sognare”. E in effetti lui stesso, vivaddio, se ne è disinteressato di un ipotetico “realismo sociale” (tipo Ken Loach, per capirci…:smiling_face_with_sunglasses:). Fece sognare gli spettatori, usando i vari Grant, Peck, Milland, Stewart, Newman , Connery. E filmando belle case, bei vestiti, bella gente. Che poi, sotto tale “luminosa scintillante superficie”, spesso ci fossero puzza e carne putrida, il caro Hitch lo sapeva. E non si faceva remore a mostrarle. Insomma, a modo suo giro’ ANCHE cinema “d’impegno”, oltre che “entertainment”. Ma senza farlo pesare. Ed è questo il segreto, che rende grande e ammirevole la sua filmografia, ancora adesso..:heart::grinning_face::cocktail_glass::+1:

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ma il bello del cinema è che puo’ essere entrambe le cose,poi s el’impegno è pesante e troppo didattico,anche no,se l’intrattenimento è boldi e de sica,doppio anche no…dipende…era john ford che disse “tra storia e leggenda scelgo sempre la leggenda”?

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Quasi. Era una battuta del suo “L’uomo che uccise Liberty Valance”. Un giornalista dice “Qui siamo nel west. Dove se la leggenda diventa realtà, vince la leggenda”. Che in effetti, è sempre più divertente e appassionante, rispetto alla cruda realtà dei fatti…:smiley::wink::heart:

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Oh che bella discussione

Mi tengo fuori dall’accezione più prettamente socio-politica del buon Nik_Carati sia perchè la mia cultura cinematografica è limitata e carente dal punto di vista della prospettiva storica, sia perchè sento un pesante odore di sigaretta, capelli lunghi sporchi, e jeans a zampa d’elefante…e caro Nik se non ti sei accorto la Sinistra ha perso, e da quel mò (e ci metto un purtroppo, che oggi come oggi ne servirebbe terribilmente almeno un po) :wink:

Stando invece al primo post di Frank ecco quella sensazione di fastidio devo dire di condividerla, e da anni, se ho ben capito a cosa si riferisce.
Cinema mainstream, e pubblicità (quindi marketing) propongono incessantemente quel modello li. Così vediamo sia nel, boh, ultimo film di Genovese che nella pubblicità del Mulino Bianco le stesse persone della stessa media(?) borghesia che abitano gli stessi grandi appartamenti di città o luminose case unifamiliari con giardino che nella realtà possono permettersi ormai in ben pochi.
E la risposta l’avete già data: al pubblico non interessa la normalità, vogliono sognare quello che nella vita di tutti i giorni non hanno o possono solo sfiorare. O così pare. O così è perchè questo è ciò che gli hanno sempre mostrato? ma qui si entrerebbe nel discorso di alfabetizzazione del pubblico di cui sopra.
Ma è un discorso che si applica alla scrittura (perchè certe tipologie di film devono sempre avere un lieto fine?) o al modo buonista di trattare argomenti che sarebbero “sporchi” e disperati tipo le malattie degenerative, e così via.
La realtà non piace, pare.

Ci metto un pare perchè io mi sono sempre sentito un po diverso in questo: adoro le (poche) storie che non finiscono bene quando ci si aspetterebbe il contrario, o che in generale descrivono le cose senza romanzarle…e pazienza se drammaturgicamente non funziona
Oppure attrici protagoniste non necessariamente belle, ecc.

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“Detesto la letteratura dove c’è della gente scamiciata che annaffia l’orto, gioca alle carte, si soffia il naso con le dita, e dove le donne si chiamano ‘mamma Rosa’ e gli uomini ‘compare Tonio’. Leggo solo i romanzi e le novelle in cui gli uomini usano camicie di seta e le donne fanno il bagno tutte le mattine.”

Pitigrilli

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17 messaggi sono stati spostati in un nuovo Argomento: Si stava meglio quando si stava peggio

Io sono con voi e sono d’accordo con voi, tant’è che pure il titolo del topic trovo che sia fuorviante. Forse è sembrato che io volessi parteggiare per il cinema d’impegno, ma non è così: la stagione dell’impegno ha grosse colpe, addirittura arrivava a palesare atteggiamenti censori rispetto a ciò che non era previsto dal canone dell’impegno. La mia intenzione non era quella di demonizzare nessuna posizione, cercavo solo di ragionare più sottilmente su un’intercapedine più stretta e interna, laddove ancora si combatte (anche se non lo vediamo) per conquistare più terreno possibile. È una lotta impersonale e impari (perché la minoranza è veramente ristretta, a causa anche del fatto che la società attuale dà per vincente il modello borghese/consumistico), di sicuro non manovrata da chissà quali forze, e per questo parlavo di automatismo.
Con l’arte e con il cinema si fa politica, ma io non volevo occuparmi di questo, e mi spiace che ciò che ho scritto sia passibile di fraintendimenti o che dia il fianco a facili semplificazioni. Della politica non mi importa, cerco di saltare lo schema: intendevo parlare di modo di agire, modo di fare cinema. Da spettatore ho bisogno anche di sentire che l’industria sostenga pure un cinema più libero, che se ne sbatta delle belle presenze e dei ritocchi, ecc. Tutto gira intorno alla classe media, che è quella più numerosa, ma è pure quella a cui tutti ambiscono anche per colpa del cinema che la rappresenta in modo fazioso. Si viene a creare un circolo vizioso, in cui pure il più emarginato incoraggia un sistema che 1) non lo rappresenta; 2) cerca di sopprimere il diverso, eliminando le deformità e le defezioni al pensiero dominante.

La realtà è una merda, e sentiamo il bisogno di crearcene un’altra, non c’è niente da fare, perché quella che viviamo, come diceva qualcuno, “è troppo realistica” e prosaica. Già altrove, qui sul forum, a proposito di certo cinema contemporaneo, avevo scritto che i drammoni lacrimevoli italiani dell’ultimo ventennio non funzionano proprio perché non si divincolano mai da quelle quattro miserie che incombono continuamente sull’uomo. Quindi sfondate una porta aperta. Ma l’evasione non sta nel contenuto, ma nel modo, nel come. Per questo a proposito de “Lo straniero” di Ozon (da cui questa discussione è scaturita) lamentavo una certa insincerità: pure quello è un dramma molto borghese, ma la differenza non sta tanto nel suo essere borghese o nel suo contrario, ma nel fatto che Ozon ha scelto di essere estetizzante, ha scelto di specchiarsi, volendo compiacersi. Ha scelto di essere totalmente infedele nei riguardi del capolavoro di Camus, in obbedienza ai valori dominanti dell’apparire, della decenza e del farsi accettare a tutti i costi.

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però qui bisogna tornare un po’ a monte, cioè a ozon o comunque discernere per casi. perché se mi si adatta camus, questo principio - che in linea di massima è sacrosanto - è inapplicabile, quanto meno in termini di sovramodulazione classista ed estetica virata dolcegabbana o patina spottara. non ha proprio senso. ed è culturalmente inaccettabile.

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Scusate, in questo periodo ho poco tempo e quindi ho mollato un po’ il colpo e mi son perso via gli sviluppi di questo topic.

Secondo me il titolo della discussione è un po’ fuorviante, perlomeno rispetto al mio discorso, perché io non intendevo assolutamente fare un confronto tra cinema impegnato e cinema d’intrattenimento. Anzi.

Adoro il cinema di intrattenimento. I polizieschi con Merli, Merola o Milian, ad esempio, così come i film comico/avventurosi di Bud e Terence o le commediacce di Pierino e similia, e tutto il cinema popolare di quel periodo, era ambientato tra gente normale, rispecchiava cioè gli strati sociali più popolari della nazione. E ogni tanto usciva anche qualche film ambientato in contesti sociali più alti (o più bassi), com’è giusto che fosse, poiché anche essi facevano parte della popolazione italiana e quindi il cinema, giustamente, li rappresentava.

Adoro anche il cinema impegnato, ed allo stesso modo pure il cinema impegnato rappresentava tutti gli strati sociali, altalenando tra gli estremi, per esempio, di un Visconti e dei suoi personaggi aristocratici e dei fratelli Taviani, tanto per dire, ed i loro personaggi proletari.

Ora invece è (quasi) tutto borghesia sofisticata.
Quello che mi fa incazzare è che attualmente nella rappresentazione cinematografica l’essere particolarmente benestanti sembra la normalità, mentre invece sappiamo benissimo che così non è.

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Da Lubitsch ai “Telefoni bianchi”, a guardare il cinema di quel periodo sono tutti ipersofisticati. Il nano malefico ci azzeccò a nasare il vento che cambiava col crollo del muro, l’italiano medio sogna il Papeete anche se non se lo può permettere.

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Io credo che già nei decenni passati questi argomenti avevano poca attrattiva, a meno di -per dire- uno Scola che ti fa “brutti, sporchi e cattivi” tratteggiandoli comicamente (sempre in ottica di piacere alla borghesia che va al cinema, sennò fai un documentario o come Bertolucci con “oggetti smarriti”, ma non ci guadagni…).
Il cinema italiano anni '90, che è sempre troppo bistrattato, ha avuto film interessanti sull’argomento (vedi di nuovo Scola con “romanzo di un giovane povero”) ma già non era più “aria” per quel tipo di cinema; non interessava.
Dal 2000 in poi per quel poco che seguo, l’Italia va avanti a pessime commedie o drammi para-autoriali, sempre tra borghesi (ovviamente) e sempre più al passo coi tempi. Così come le fiction della Rai.

Andrebbero prima individuati questi “ultimi” e poi rendersi conto se al pubblico possa davvero intressare un film che parli di loro (soprattutto in maniera drammatica).

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La discussione sui “bei tempi andati” è spostata qua:

Domanda: non è fattibile che il cinema rappresenti la normalità e allo stesso tempo faccia sognare? Un po’ il principio dei romanzi di Stephen King in letteratura: piacciono perché sono grandi voli di immaginazione ma allo stesso tempo ti immedesimi perché rappresentano il quotidiano… il nostro glorioso cinema di genere questo faceva, penso ai gialli e i polizieschi italiani per dire. Oggi mi sembra che tanto cinema attuale abbia perso credibilità e mordente perché anche quando racconta storie di intrattenimento, come suggeriscono alcuni di voi, descrive dei cliché poco verosimili in cui è arduo identificarsi. Anni fa, arrivò dalle nostre parti un film francese ambientato nella scuola: alcuni miei colleghi l’avevano visto ed erano rimasti perplessi nella rappresentazione di “classi problematiche” che non corrispondevano per nulla alla drammatica realtà di entrare in un’aula scolastica e trovarsi di fronte a un’utenza di scalmanati. Non posso fare a meno di pensare, basandomi sulla mia esperienza lavorativa, a quanto le vecchie commediacce sexy-scolastiche da quel punto di vista fossero più credibili. E venivano accusate di qualunquismo, nonostante descrivessero in maniera molto realistica i disagi che già negli anni 70 il nostro sistema scolastico stava affrontando.

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