IL PUNTO G: Nocturno Dossier su E. G. Castellari

mi si permetta di aggiungere un’ultima cosa: un conto sono i termini desueti, arcaici etc etc…
altro conto sono i termini tecnici.

voglio dire: se un critico sta scrivendo una recensione di 5 righe su film tv, allora ovviamente sarà necessario rendersi conto che si sta riassumendo una trama e si stanno offrendo al lettore delle valutazioni generali sul film in questione per invogliarlo, o meno, a guardare quel film.
il discorso però cambia -secondo me eh- quando si tratta di un saggio, o una scheda più approfondita.
lasciando perdere le “ostentazioni” (queste sì, certamente, deleteree) io credo che un critico debba svolgere il suo ruolo di critico, e questo implica che è legittimato ad usare il suo linguaggio, un linguaggio necessariamente specialistico.
il lettore non passivo farà bene, come suggerisce tuchulcha, a “favorire la sua istruzione” (per citare un film che adoro) prendendo -quando necessario- anche il vocabolario in mano.
personalmente, quando trovo concetti che non capisco leggendo qualcosa non me la prendo con l’autore… se davvero mi interessa quanto ha scritto mi sforzo di colmare la mia lacuna, non pretendo certo che l’autore debba sentirsi in dovere di scrivere un concetto in 10 righe laddove, usando la terminologia appropriata, ne basterebbe una.

ribadisco, però, che il mio ragionamento non contempla l’ostentazione fine a se stessa (ma l’ostentazione è sempre fine a se stessa).

Penso sia corretto utilizzare il linguaggio che si sente maggiormente proprio anche in sede redazionale.
Mi spiego,risulta deletereo e controproducente,fare uso di termini volutamente barocchi e classisti per distinguersi dalla “massa”.
Lo “scrivi” come mangi di Tuch riassume perfettamente il mio pensiero.
Purtroppo però non tutte le politiche editoriali sono le medesime e il capace critico che ha compilato la scheda sul dossier in questione deve ritenersi fortunato.
Posso infatti testimoniare in prima persona la tendenza alla “censura” da parte di numerosi editori della forma gergale ricercata ed eccessivamente (secondo loro) “alta”.
In fase di editing infatti il consiglio che si da (e che ho ricevuto) è quello di semplificare il più possibile l’esprimersi dei concetti utilizzando un vocabolario ed una costruzione logico grammaticale di uso comune.

Detto questo,rimango della mia idea,ovvero quella che vede il critico esperto poter utilizzare sulla carta stampata il linguaggio con cui si trova maggiormente a proprio agio.

“Deuteragonista” non mi pare, comunque, parlar forbito: la Scheda de quo, peraltro, la trovo completa ed efficace giacché: rende giustizia al film inquadrandolo perfettamente, non mi pare segua voli pindarici, mi sembra adatta sia per Quanti conoscono il film sia per Coloro i Quali vi si accostano per la prima volta, è Fonte di dati utilissimi, usa un linguaggio che ritengo comprensibilissimo…
…in un contesto di un Dossier che, non essendo in procinto di candidarsi al Premio Nobel per la Letteratura Italiana, è comunque validissimo visti i poco illustri (scarni) precedenti su un Regista che reputo (contrariamente a quanto potrebbero, a volte, suggerire le apparenze) arduo da analizzare nell’opera omnia identificando temi comuni ed aspetti peculiari (come evoluzioni ed involuzioni)…
…la prima impressione che ne ho ricavato, dalla lettura, che c’è davvero tantissimo da imparare ancora ed altrettanto da dire…:wave:

A me più che altro sembra un po’ fuori luogo… il ‘deuteragonista’ del film infatti è più Vincent Gardenia che non Sal Borgese, il quale avrà si e no 4 battute

cmq, per la precisione… dal De Mauro on line
deu|te|ra|go|nì|sta
s.m. e f.
1 s.m. TS st.teatr., nel teatro greco, secondo attore
2 s.m. e f. TS lett., estens., in narrativa, il secondo personaggio in ordine d’importanza

giudicate voi

Immagino però che tu abbia alle spalle studi classici o quantomeno umanistici… prova ad entrare in un bar della zona industriale di Milano a parlare di deuteragonisti e poi dimmi come ti guardano! :smiley:

Comunque anche io appartengo alla categoaira a cui piace utilizzare termini forbiti o desueti, ma devono armonizzarsi al contesto. In certi casi rischiano di sembrare, come faceva giustamente notare Mark, mera ostentazione.

Tutto questo, beninteso, senza nulla togliere al valore dell’articolo in questione.

Per quello, sarei curioso di sapere quanti nel suddetto bar meneghino leggono Nocturno. Comunque riconosco che infilare a tutti i costi il deuteragonismo nei film di Castellari sia una forzatura. Per tacere delle difficoltà interpretative, un po’ come i catecumeni di Amici miei atto II.

Inutile dire che mi trovo in totale sintonia con le ottime osservazioni di liberAnomalia e scerba. Credo che al critico vada riconosciuto l’esercizio dello stile che più gli è proprio (Benn sostiene che lo stile è più importante della vita), perché in genere il critico sa di che parla (salvo qualche non rara eccezione). Credo in sostanza che oltre all’aspetto meramente comunicativo, vada salvaguardato pure il lato espressivo del linguaggio, altrimenti l’idioma del critico sarebbe un qualcosa di omologato e monoplanare. Molte volte si ha la tendenza ad eccedere, a ridondare (perché ricordiamoci tutti che la critica è pur sempre scrittura, dunque una forma letteraria a tutti gli effetti), ma la cosa importante è dire veramente qualcosa intorno a un argomento. Il critico è colui che sa costruire un discorso intorno a un’opera, contesualizza gli assunti, ne denuda la tessitura linguistica, coglie nessi semantici, compone e ricompone ri-organizzandone le parti, tentando di ri-raccontare l’opera in una nuova forma, evitando in questo modo il già detto. Penso che prima di criticare il critico, bisognerebbe provare ad ascoltare ciò che ha da dirci cercando di captare il suo modus dicendi, anche se a volte il linguaggio utilizzato sembra voler resistere a qualsiasi tentativo di comprensione. Molte volte non si tratta di mera ostentazione, ma semplicemente di stile. Alle volte fare un piccolo sforzo per entrare in sintonia col linguaggio del critico può valere la pena.

Condivido anch’io dalla prima all’ultima delle tue osservazioni, nonché gli interventi da te citati, tanto più che (a mio modesto ed umile avviso) andando in quella direzione da te biasimata si rischia (oltre ad andare OT) di equivocare
facendo disinformazione: il Dossier è estremamente scorrevole e lineare e, secondo me, ha portata storica per la completezza e l’impegno profusi ad occuparsi dalla a alla z dell’opera di un Grande Regista del nostro tempo che già nel solo modo di tenere la macchina da presa si eleva molto al di sopra della media di tanti (pur validissimi) Colleghi di Genere…
…non vi sono contorsioni di linguaggio o virtuosismi stilistici ma, al contrario, lineari analisi che non trascurano alcun versante ma (al tempo stesso) non perdono mai di vista la Visione d’Insieme.
E’ stata una Boccata d’Ossigeno tale Opera da Tanti attesa con fiducia, visti Illuminanti Precedenti dedicati ad altri Maestri di Cinema, e non mi pare le attese siano state tradite.
Per fortuna le nuova settimana è iniziata e la Rivista (che ha notori problemi di distribuzione, di Piccola Editoria) potrà raggiungere quanti, oltre tutto qualcuno lo ha già manifestato nel presente topic, muoiono dalla comprensibile curiosità di leggerlo e (soltanto) dopo averlo fatto potranno liberamente decidere se buttarlo a mare o conservarlo tra le cose care…
…ma, soprattutto, parlarne (bene o male) comunque a ragion veduta ed il dibattito se ne arricchirà in ogni caso…:oops:;):wave::wave:

Giusto, il lavoro del critico è analizzare un opera e magari portare alla luce quelle sfumature e quei nessi che un lettore o spettatore o semplicemente chi guarda un opera d’arte non coglie magari sul momento o non ha i mezzi a disposizione per interpretare cio che l’autore ha voluto esprimere.Non mi sembra il caso nel grande racket ma riconosco che potrebbe esserci perchè no.Quindi la sua stesura (del critico) dovrebbe essere fruibile a tutti, utilizzando un gergo tecnico, un linguaggio se vuoi anche ricercato ma che sia però perfettamente in sintonia con l’opera da analizzare.Il dossier secondo me non è un testo scolastico o un saggio che deve servire a chi studia cinema, ma solamente un omaggio ad un grande regista ed ai suoi film, che sarà letto da addetti ai lavori e da appassionati che non sono per natura di cose solo persone che hanno avuto un percorso di studio umanistico.
Ricordo a volte nei miei trascorsi scolastici, durante lo studio di Dante, che cio che il sommo poeta voleva dire era chiaro e sotto gli occhi di tutti, poi quando andavi a leggere la nota critica a piè pagina, non si capiva cio che il critico volesse dire.
Detto questo io non denigro il dossier e mi pare che in questa sede non lo abbia fatto nessuno per rispondere al caro Gu61, ho solamente riscontrato una differenza nel Desanctis nella stesura di due schede ed ho trovato giusto farne un appunto qui ; non critico assolutamente il critico tantè che non ho problemi a rileggermi due o tre volte un passaggio che non ho compreso alla prima lettura, è solo una semplice osservazione.

E’ vero, ma mi è concesso di dire che non tutti hanno i mezzi per entrarvi? (riferito a opere destinate al grande pubblico, e non solo ad un ristretto manipolo di utenti).
Detto questo ringrazio El topo per aver espresso la sua opinione da addetto ai lavori.

Sottoscrivo quello che ha scritto stubby… aggiungendo che, essendo anche io un critico, non mi sognavo certo di criticare i concetti espressi ma si trattava solamente di una semplice osservazione riguardante la forma della scheda de Il Grande Racket, imho eccessivamente ‘costruita’.

Innanzitutto ringrazio te e gli altri forumisti che partecipano alla discussione, anche solo leggendola. Da parte mia trovo sempre assai stimolante ragionare e confrontarmi da umile spettatore come tutti gli altri, sempre. Ovviamente anch’io alla mia maniera, proprio come tutti.
Ti è concesso eccome dire che non tutti hanno i mezzi per entrare in sintonia col linguaggio del critico. Almeno in prima battuta. Chiaramente, come sosteneva limpidamente liberAnomalia, il critico non può sorvolare sulla terminologia presupposta dall’oggetto della sua indagine critica. Se devo parlare di Roma città aperta non posso non utilizzare termini come carrello, piano incrociato, dissolvenza etc. A quel punto è il lettore (benevolo, come lo appellava Baudelaire) a dover compiere il suo piccolo sforzo di “erudizione”. Anche Roberto Longhi, uno dei più illustri critici d’arte del nostro Paese, la cui prosa era comprensibile a un ventaglio di lettori che andava dalla casalinga di Voghera al docente universitario di Princeton, non poteva esimersi dall’utilizzo del gergo tecnico. Il resto ripeto, è questione di stile, cioè di espressione. Ovvero una modalità dell’essere. Io credo che se di deontologia di possa o si debba parlare, lo si dovrebbe fare principalmente nei confronti della propria capacità espressiva, che nel 99% dei casi non è un alibi ma un attestato di esistenza (come sostiene il Benn che citavo). Non credo che un critico ponga come suo obiettivo il non farsi capire. Alcuni linguaggi sono più “faticosi” di altri, in alcune apparenti contorsioni linguistiche può annidarsi però l’intuizione più genuina. Se chiedete a questa tipologia di critici di parlare come mangia, vi risponderanno che mangiano tranquillamente formiche verdi fritte con forchetta e coltello; per dire che molte volte quella che si dice “contorsione” linguistica è a monte, una forma mentis. Chiedendo a enrico ghezzi di esprimersi diversamente, non è chiedere di snaturare il suo essere/esprimersi? Nel discorrere ghezziano a volte mi perdo, a volte mi trovo (e mi riperdo), ma trovo che sia uno dei pochi a svelarmi veramente qualcosa sulla cosa cinema. Poi, prendere o lasciare, sta a noi la decisione in ultima istanza. Io sono per la varietà assoluta dei linguaggi come garanzia di libertà d’espressione.
Aggiungo: con ciò non intendo dire che il critico è incriticabile. Anzi.

io comunque personalmente non ne facevo un discorso di stile

nel momento in cui una persona scrive una qualsiasi cosa, sia esso un romanzo, una recensione o una lettera all’amante, per forza di cose adotta un proprio stile, che poi può piacere o meno al pubblico, ma questo è un altro discorso

io ne facevo proprio un discorso di contenuti, di un certo modo di vedere i film e di raccontarli (o nel caso non raccontarli), che non mi appassiona più

un tempo un giornale come nocturno me lo compravo da mondo bizzarro e me lo leggevo per strada tornando a casa, adesso l’ho preso ed è lì che langue da giorni in attesa di ispirazione alla lettura

con ciò lungi da me voler affermare che la rivista sia scaduta, giacchè peraltro sono rimasto alle tre pagine lette qualche giorno fa… solo mi incuriosiva sapere se erano i miei gusti ad aver preso uan direzione diversa o se è una tendenza più diffusa

Sì Polla, non ci piove…tu facevi un discorso ben diverso! E la discussione con te è in stand by perché ancora mi deve arrivare 'sto benedetto numero di Nocturno (va a finire che me lo compero e buonanotte!). Poi il topic ha preso una piega diversa. Ugualmente interessante.

giunto a destinazione questo dossier. finalmente.
per adesso posso solo dire che si presenta ottimamente… bella grafica e struttura ben organizzata.
riservandomi il piacere di leggere approfonditamente la scheda de Il Grande Racket prossimamente, ho già letto quella dedicata a Il Cittadino si Ribella e quella dedicata a Gli Occhi freddi della Paura.
rispettivamente di Roberto Curti e Luca IOCHISONO Rea.

mi hanno entusiasmato.

in serata leggerò Il Grande Racket e questa settimana la dedicherò alla lunga intervista. mi piacerà, soprattutto, confrontarla con la vecchia intervista a Castellari pubblicata diversi anni fa in volumetto rosso per Nocturno Libri;)

cmq, ha tutta l’aria di essere uno dei migliori dossier realizzati negli ultimi tempi.

Secondo me c’è una differenza sostanziale tra, chessò, un poema e un rivista di cinema, così come ce n’è tra una riunione di lavoro e un meeting di GdR: nei due diversi contesti mi comporterei in diversa maniera; ridicolo fare gli ingessati con Polla & Swat, stupido fare gli sbracati con il management. Allo stesso modo la scrittura dovrebbe sì adattarsi. E anche se non dovrebbe appiattirsi all’ “italiano da Grande Fratello”, non dovrebbe nemmeno perdersi in roboanti paroloni che suonan meglio sulla bocca di un politico. Un mirabile esempio, a mio avviso, è Montanelli: scriveva benissimo, in un bell’italiano, ricercato ma non pesante, scorrevole ma non banale. E, purtroppo, i barocchismi sono quasi sempre deleteri. Vedi Pinketts negli ultimi romanzi, dove ormai ha perso il suo proverbiale “senso della frase” per avvitarsi in spirali dialettiche che spezzano il ritmo del romanzo e annoiano.

E comunque, ho notato anch’io molti scribacchini, su Nocturno o altrove, che spingono molto l’acceleratore sul linguaggio inutilmente complicato, quasi servisse a rafforzare la debolezza delle loro argomentazioni. Il caso in esame:

“…così tagliati i caratteri da stereotipi assurgono al rango di archetipi dotati di un icasticità febbrile…”

è abbastanza lampante. Mi ricorda Santenocito-Gassman ne “In nome del popolo italiano”, che cercava inutilmente d’infinocchiare il magistrato (Tognazzi) con queste parole:

“Io rifiuto il piattume delle terminologie indifferenziate. Più parole, più idee. Sì, io amo il linguaggio aderenziale e desemplicizzato.”

Dopodiché chiedeva a Tognazzi di trovargli un’alternativa a “desemplicizzato”, e Tognazzi prontamente ribatteva: “Complicato!”.

Inutile e saccente sfoggio di pseudocultura. Io lo trovo completamente fuori luogo.

Difatti uno era Dante, l’altro era solo un critico.

ho appena letto la scheda in questione. non per fare l’avvocato, però non mi sembra che l’autore avesse bisogno di rafforzare la “debolezza” della sua argomentazione, che invece mi è sembrata piuttosto seria.

che poi possa non far piacere il suo linguaggio è altro discorso, ovviamente legittimo.
però, attenzione anche a come si riportano le cose, per esempio la frase sopra citata. la virgola infatti che ho inserito io in grassetto -presente nel testo originale- per quanto possa sembrare un optional è tuttavia abbastanza importante per leggere la frase e comprenderla meglio.
senza quella virgola, infatti, la frase si complica ancora di più.
segnalo, cmq, la frase per intero:

<<Poco importa che l’introspezione psicologica sia men che approssimativa: così tagliati, i caratteri da stereotipi assurgono piuttosto al rango di archetipi dotati di un’icasticità febbrile: da Fabio Testi, antieroe malmenato che…>> etc. etc.

cmq sì, l’autore in questione usa un linguaggio abbastanza ricercato, ma non mi è sembrato poi così “estremo” o criptico.

vorrei però fare un’ulteriore osservazione: ma davvero si crede che riviste come Nocturno, Cine70 o le fanzine che nascono e muoiono continuamente (per esempio, che fine ha fatto “Buio In Sala”? conservo ancora il numero 1 autografato proprio da Castellari), senza per questo voler fare un discorso di valutazione delle suddette, nè alcuna comparazione, siano riviste destinate al grande pubblico?
Tuchulcha ha scritto bene, prima: “sarei curioso di sapere quanti nel suddetto bar meneghino leggono Nocturno”.
mi domando la stessa cosa.
francamente, se ponessi tale dubbio al mio edicolante so già come mi risponderebbe: “io ne prendo tre, massimo quattro copie”.

è ovvio che si tratta di riviste destinate cmq -cult o non cult- ad un pubblico ristretto di appassionati, divoratori di cinema, insomma… gente scafata…
vorreste farmi credere che “siamo” lo stesso pubblico di Ciak? fermo restando il rispetto per questo giornale e per chi ci lavora e per chi se lo compra, non sto facendo un discorso “fighetto”, ma spero piuttosto “concreto”.

e devo credere che personaggi disposti a vedere un film perfino in aramaico con sottotitoli giapponesi si lascino scoraggiare da un “deuteragonista” o da qualche “icasticità febbrile”?

poi certo, ripeto, ognuno preferisce quel che più gli va a genio, e su questo non ci piove.

Per rispondere ad Amayer,
anche il vestiario ed il modo di essere fanno parte del nostro bagaglio interiore.
Sforzarsi di adattarsi in maniera disinibita ai vari contesti non è secondo me sempre la chiave migliore.
Naturalmente bisogna evitare certi atteggiamenti lessico-comportamentali sotterraneamente classisti,snob e aggiungo antisociali.:wink:

Stasera mi sono letto l’intervista a Castellari non ancora per intero (la sciura mi ha richiamato a tavola :slight_smile: )ma quasi e l’ho trovata brillante e soprattutto interessante, sto ancora ridendo per l’aneddoto: Sti cazzi! Me cojoni! :D:D:D:D:D

Ah, sì; c’era anche nel libriccino a suo tempo sfornato da Nocturno. Priceless.

E allora mi sa che hanno riciclato varie cose di quel libriccino, l’altro giorno JohnnyB disse che lo schizzo in cui Castellari spiegava la sequenza della macchina giù dal dirupo nel GR era già stata postata nel suddetto.