Irrational Man (Woody Allen 2015)

Con Joaquin Phoenix, Parker Posey, Emma Stone

Il nuovo Allen, in sala da noi a Natale. In America non ha fatto una lira: 7 milioni di dollari, pare.

Allen quasi sempre incassa poco in patria, ormai. Ma c’è il resto del mondo, Europa in particolare, a ripagarlo delle spese. Per quanto mi riguarda, i suoi film non li perdo, a prescindere. .

Quoto zardoz, raramente allen ha sfondato i botteghini in america, anche se comunque li fa sempre con 2 lire, quindi non sono sta perdita. Lo vedrò a prescindere, essendo lui uno dei miei idoli, non me ne perdo mai uno. Cristo, scrive e dirige un film all’anno anche oggi che c’ha 80 anni, e sono tutti notevoli, chi più chi meno, ad averceli autori che sappiano scrivere anche un suo film “minore”, tipo quello dell’anno scorso, Magic in the moonlight, che è leggero leggero ma gradevolissimo.

Quoto Tony: film splendidi o “solo” belli, Allen è come la Roma. Non si discute, si ama. .

O si odia, come il sottoscritto. Non lo sopporto…

Sviluppo meglio il mio pensiero, buttato lì ieri sera, mezzo assonnato, tramite telefonino.
Il problema è proprio questo: quando sento e vedo Woody Allen mi faccio prendere da una sorta di ripugnanza… Boh, non so, è un fatto mio.
Mi sta umanamente sulle palle talmente tanto che lo detesto anche come regista. Quel (poco) che ho visto non mi ha mai convinto. Ho sempre pensato fosse un qualcosa creato in vitro per i radical-chic di ogni dove… Scusate, eh, senza nulla togliere a nessuno…

Non condivido affatto il tuo pensiero su Allen, ma posso comprendere che quando c’è una “ripugnanza”, giustificata o meno, è impossibile togliersela. Io avversioni simili ne ho verso alcuni politici italiani. Ma è un’altra storia. .

E’ così, così. Oh, non parlarmi dei politici, per amor di Dio, sapessi per quanti di quelli provo ripugnanza… :smiley:

Riconosco che può non piacere. Allen è il classico autore che o ti piace o non ti piace.

Come qualunque altro…

Non esattamente: alcuni registi suscitano reazioni appunto “viscerali”. Nel senso che o piacciono moltissimo, o disgustano proprio: vedi Tarantino, o Nolan, o appunto Allen. Tutti autori, e con “qualcosa da dire”. Ci sono poi un sacco di registi “blandi” che nei migliori dei casi sono solo degli onesti professionisti. Per essere chiari: Neri Parenti e Carlo Vanzina non meritano certo discussioni cinefile appassionate. Indipendentemente dal valore dei singoli film. .

Non è detto. Alcuni registi sono personalissimi, come appunto Allen o, che so, Nanni Moretti. Un film di Allen è Allen. Se non ti piace lui non ti piace il film. Anche Tarantino, non esiste un regista come lui, ogni suo film è personalissimo. Poi altri registi sono meno “personali” e più abbordabili, alcuni loro film ti piacciono, altri no, magari.

EH, infatti, credo tu abbia ragione. Senz’altro Nolan o Allen (infatti anche Nolan non è che lo digerisca granché :D), nel bene o nel male, lasciano il segno e il fatto che di loro comunque si parli ammetto che qualcosa possa significare. Io appartengo a quelli che non li digeriscono, anche e comunque per quelli che sono i loro film… non rientrano nelle “mie corde” cinematografiche.


Diciamo che per Allen le due cose mi si associano, ad esempio per Moretti non mi accade: non mi sta molto simpatico ma apprezzo i suoi film…
Boh. Nolan, invece, cinematograficamente mi annoia e non poco.

Primo: paragonare Allen a Neri Parenti o Vanzina non ha senso, se non per una battuta ovviamente.
Secondo: ogni volta che sento un parere fortemente discorde tra due persone su un regista, come su un musicista, uno scrittore ecc, nel senso che uno lo adora e l’altro lo trova pessimo, salta invariabilmente fuori il luogo comune del “O si ama o si odia!”

Per me non è vero, ci sono dozzine di persone che ho conosciuto che apprezzano abbastanza sia Allen che Tarantino ecc.ecc., senza né amarli, né tantomeno odiarli. Questo come lo spiegate, voi teorici del “Si ama o si odia”?

Ma appunto non è una battuta: Parenti e Vanzina sono artisticamente LONTANISSIMI da un Allen, indi non meritano grande attenzione o “passione”. Su quelli a cui certi registi piacciono “abbastanza”: be’, non sono veri cinefili. Il cinefilo è APPASSIONATO di cinema, e ha veri odi e veri amori. Se non li ha, è solo uno spettatore, “blando” pure lui.

Ma che ne so… Guardatevi quello che ve pare, alla fine sti cazzi! :smiley:

Comunque, scherzi a parte, sì, in effetti c’è anche lo spettatore neutrale. Secondo me uno che ogni tanto apprezza un film di allen, mi sa che apprezza più il film in sé che non l’autore. Nel senso, magari s’è visto io e annie e gli è piaciuto in quanto commedia sentimentale, ma non l’ha apprezzato perché apprezza Allen come autore, perché gli piace il suo stile, perché gli piacciono i suoi riferimenti e le sue citazioni, ma semplicemente perché ha trovato il film gradevole e gli ha fatto passare un’oretta e mezza tranquilla e gli va bene così, non lo tange più di tanto. Non credo che si veda tutti i film di Allen e ogni volta che esce quello nuovo se lo guarda al cinema perché lo segue in quanto autore. Sta cosa del “si ama o si odia” è ovvio che non è assoluta. Non è tutto o bianco o nero, ce stanno pure i grigi, no? Però in genere è vero che un autore particolarmente personale spezza il pubblico principale, che magari c’ha una propria idea e un proprio gusto di cinema. Uno tipo lars von trier è ovvio che non è accessibile a tutti, molti lo considerano un genio e molti un pazzo totale, però magari nel mezzo ce sta pure qualcuno che apprezza i suoi film e basta, che ne sai? Il mondo è vario.

Renà, qui non si discuteva del “si ama o si odia” di qualunquistica memoria. Si sottintende, come detto magari fra le righe, che Allen, Nolan e compagnia bella (o brutta), hanno uno stile riconoscibile, che si ripresenta in ogni loro opera. Se a te quello stile non piace, “odii” tout-court" quanto viene da loro sfornato. Certo, se uno non ha uno stile quantomeno particolare, ed è quanto ha detto prima Zardoz, beh, allora aspetti sempre il film successivo sperando che sia meglio del precedente. Con Allen, io manco ci vado a vedere il successivo, tanto so quale sarà la minestra che mi aspetta…

Hai centrato la questione con Allen: lo spettatore che gli è affezionato sa già più o meno quello che lo attende. Il regista americano “riciccia” su alcuni temi da decenni. Chiamatelo pure “marchio distintivo”. Il che non significa che faccia sempre lo stesso film: “Zelig”, “Manhattan”, “Radio days” e “Ombre e nebbia”, per esempio, sono tutti inconfondibilmente alleniani. E al tempo stesso sono opere diversissime. .

“La commedia deve essere realistica, sempre chiara, non si ha quasi mai la possibilità di girare qualcosa di davvero immaginativo. Si ha sempre questo istinto di regia che spingerebbe ad allontanarsi dai binari, e a sperimentare certe cose, a godersi la macchina da presa e il movimento. Ma nella commedia è indispensabile reprimerlo.” Da sempre abile a usare le sue dichiarazioni per sviare, Allen riesce anche in “Irrational Man” a dare forma ad una messa in scena ricca e precisa, con un controllo compositivo totale ed una padronanza perfetta del ritmo di ogni singola scena, ben lontana dalla mediocrità che ci si aspetterebbe da una commedia.
Costruito in sequenze rapide che annullano qualsiasi superfluo indugio, al film bastano poche pennellate per ritrarre i vari mondi raccontati: dal campus universitario fino al focolare domestico della protagonista Jill Pollard.
In questa realtà ordinata irrompe Abe Lucas, professore che potrebbe essere uscito dalla penna di Phillip Roth o essere tormentato dai dilemmi dei personaggi di John Barth. La scelta di Allen di usare una doppia voce narrante – sia quella di Jill che quella di Abe – permette al film di assumere una forma ambigua e poco rassicurante, che porta lo spettatore a dover, per forza di cose, assumere una posizione.

[SPOILER]Per il professor Lucas i giovani studenti sono diligenti, seri, ma in fondo mediocri. E le loro menti limitate plasmeranno, purtroppo, il futuro. Difficile dargli torto nel momento in cui Allen, durante la festa nella ricca casa di una delle studentesse, mostra i ragazzi completamente disinteressati alla collezione d’arte dei padroni di casa e invece perversamente attratti dalla pistola per difesa personale. E quando Abe si impossessa dell’arma e si lancia in una spericolata roulette russa (in presenza di una studentessa che nemmeno sa cosa sia la roulette russa, come se Cimino fosse passato invano), i ragazzi si mostrano scandalizzati, perchè è lecito pensare di uccidere ciò che è sconosciuto, ma non di riflettere sulla propria di morte.
E allora Abe ucciderà realmente qualcuno che non conosce, dopo essersi assicurato che eliminare un indegno giudice potrà solo migliore la realtà.
Questo gesto non è però tollerabile presso la rigida comunità giudicante, della quale Jill è la più ferrea esponente.
Privilegiata figlia di docenti di musica, Jill accetta senza problemi l’illegale (avere una relazione con un proprio professore), solo quando questa infrazione è accettata dalla comunità, quasi eleveta a status – si veda la nonchalance con la quale i suoi genitori accolgono Abe a cena da loro.
Nel momento in cui Abe, a seguito dell’omicidio, esce da quella crisi dalla quale Jill non era riuscito a salvarlo con la borghese forza del suo amore, è la stessa Jill che lo condanna a morte. Perchè ormai Abe non ha più bisogno di lei, trova molta più passionalità nella matura collega Rita, segnata nel volto dalle delusioni, ma ancora capace di sognare l’irrealizzabile.
La morte di Abe, che non ha perpetrato l’assassinio per scalare la società – come faceva il protagonista di “Match Point” – è frutto di quella cieca e sterile praticità di pensiero di Jill, una ragazza che sceglie come premio, al luna park, una fredda torcia in mezzo a tante fantasiose ed effimere possibilità.
Abe non è il disonesto Peter Lyman di “Scoop” giustamente ucciso dall’innocente Sandra, così come non è il subdolo zio assassino di vedove de “L’ombra del dubbio” (modello nascosto di tanti Allen) morto per mano della nipote che l’aveva sempre difeso, ma è un uomo che ha sofferto e che ha finalmente trovato una via di felicità. Sono l’ottusità di Jill e l’incompetenza della polizia, che imputa a un incolpevole l’omicido commesso da Abe, a uccidere Abe.
E quando nell’ultima scena a inebriarsi d’aria non è Abe, ma quella Jill ritornata dal suo inetto fidanzato, allo spettatore rimane un senso di sconforto. La praticità ha vinto sull’irrazionalità.

[/SPOILER]

Due estratti dall’intervista ad Allen uscita su Ciak il mese scorso:

(Sulla morte, tema sempre caro al regista): … anche l’amore è una distrazione. Incontri qualcuno, magari ti sposi, poi un giorno vedi qualcosa nella tua radiografia ed è finita.

(Sull’immortalità che può dare l’arte): Piuttosto che vivere nell’arte e nel cuore del pubblico, preferirei restare nel mio appartamento.

Direi un Allen bello carico… il film non l’ho ancora visto, comunque. Alla tizia di Ciak non è piaciuto, per la cronaca.