La Città Dolente (Mario Bonnard, 1949)

Recuperato pure io questo film, meglio tardi che mai, grazie ad un recente passaggio su Tele Universo.

Sono più vicino ai punti di vista di @Renato e @Saimo, meno a quelli entusiastici di @SWAT e @raffaele1961.

Di fatto il film inizia in modo molto potente, trasmettendo il dramma della popolazione che deve abbandonare la propria patria, e l’approccio che da documentaristico diventa pian piano narrativo aiuta a contestualizzare efficacemente i protagonisti della vicenda di fiction nella tragedia reale degli sfollati.
Spezzo una lancia anche a favore di Bonnard, che per tutto il film riesce a giustapporre simboli molto incisivi alle immagini dei personaggi, creando continui contrappunti emotivi “universali” alle vicende particolari degli individui al centro della finzione narrativa (due esempi che mi vengono in mente: la moglie ed il figlio che partono con gli altri profughi ed uno stormo di uccelli migratori che prende il volo da una laguna; la barca del marito alla deriva fra le onde e la mano della madre, triste, che dondola la culla del bimbo).

Ora passiamo agli aspetti negativi del film: non tradendo la matrice filo-fascista della casa di produzione (la Scalera Film) il film si presenta privo di sfaccettature, monodimensionale, dipingendo la cattiveria e l’ottusità del regime comunista in modo manicheo e quasi grottesco. Il patriottismo, per quanto comprensibile ed anche condivisibile per l’epoca in cui il film fu girato, si esplica in modo così ostentatamente didascalico da risultare manieristico, superficiale, ingessato… Non mi arriva un qualcosa di autentico, un’emozione vera.
Inoltre, come fatto osservare anche da altri forumisti che mi hanno preceduto, la seconda parte della pellicola perde mordente drammatico e si trasforma nella solita storia convenzionale del filone “avventura e melodramma”: la lunga sequenza della fuga dal campo di rieducazione mi rammenta paro paro il fuggitivo George Peppard nel suo film della vita Cinque giorni ancora (con tanto di inseguimento dei cani nelle paludi e paesaggi mozzafiato sullo sfondo).

Sergio, il personaggio di Rizzo, è effettivamente la figura che mi ha trasmesso le maggiori emozioni, con la sua personalità piena di ombre e contraddizioni.
Non avevo invece riconosciuto l’assatanato Dottesio, in una particina che sembra ritagliata su misura per lui.

GG per Berto che si è trombato la feldmarescialla, una specie di proto-Ilsa di ideologia opposta e di minore crudeltà, ma che già prefigura il modello che sarà poi reso famoso dalla belva delle SS.

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