Verrebbe facile etichettarlo come “il capolavoro di Paolo Bianchini”.
In realtà ci troviamo di fronte a qualcosa di ancora più grande.
Siamo davvero dalle parti del bel cinema, del cinema d’autore con la A maiuscola.
Per quanto il budget sia ridotto e risicato all’osso (ed in un paio di sequenze ce ne si rende conto) il film a mio giudizio è veramente un piccolo capolavoro e riesce ad indagare sia dal punto di vista empatico-emotivo che da quello socio-politico tutte le sfumature dell’animo umano che vengono sollecitate in un contesto come quello della vita quotidiana in un contesto di guerra ed occupazione.
Non mancano le sequenze leggere e sognanti che fanno divertire né quelle toste e dolorose, che ti tolgono il sorriso di bocca e ti riempiono di amarezza, nella migliore tradizione di un Fellini o di un Olmi.
Il regista racconta frammenti di vita vissuta e lo fa con una spensieratezza ed al contempo un’autorevolezza che lasciano davvero di stucco.
Si tratta infatti di un film profondamente autobiografico, come emerge anche dall’intervista a Bianchini che ho postato qualche mese fa.
Un film dal forte impatto emotivo ed al contempo dalla scarsissima eco mediatica, probabilmente uscito fuori tempo massimo rispetto a certi altri prodotti simili. Una pellicola che però merita sicuramente di essere riscoperta e rivalutata dagli amanti del buon cinema e che indubbiamente sarebbe degna di un’edizione adeguata alla sua caratura artistico-cultuarale (l’ho vista in una registrazione da un passaggio tv mediaset, ignoro se esista o meno una qualche edizione home video).