Piano piano, anzi pianissimo, è arrivato il momento. Dal 13 novembre, in br italiano. Finalmente…
Per conto di chi?
Rai/Eagle. Gli stessi che fecero uscire 3 anni fa il dvd. Si sono svegliati,eh…
All’indifferenza di una provincia sonnacchiosa e plumbea, dietro la quale si nasconde la desolazione delle pene e delle miserie umane, si può reagire solo con altrettanta indifferenza. Pure la severità impersonata dal preside della scuola (un Salvo Randone sempre in grande forma, pure se in una piccola parte) è superata, il film se la lascia dietro con un balzo da centometrista che continua a correre anche dopo il traguardo. È questo il punto di partenza de “La prima notte di quiete”. E infatti nella scuola in cui è chiamato ad insegnare il professore protagonista, le forze contestatarie vengono subito relegate ai margini, giacché il protagonista sin dal primo incontro con gli allievi sfoggia un notevole disinteresse nei confronti di qualsivoglia partigianeria - nel dimenticato va a finire persino il proprio padre, noto eroe di guerra. A chiare lettere il professore non ha paura di dire che il proprio compito consiste “solo” nella spiegazione del “perché un verso del Petrarca è bello”. E saperlo spiegare presuppone che il protagonista sappia esattamente cosa sia la bellezza. In questo il protagonista trova la propria salvezza - una salvezza tutta terrena, perché qui siamo nel territorio dell’esistenzialismo, e non c’è spazio per la trascendenza.
La bellezza non è incarnata dalla Lamborghini Miura, o dalle donne che vorrebbero concedersi a ogni piè pari, o - ancora - dalla vita disimpegnata dei vitelloni spiaggiati incontrati e conosciuti durante il piccolo viaggio sentimentale mostrato dal film. Oltre che in Petrarca, in Stendhal, in Della Casa, nei testi sacri, in Piero Della Francesca, ecc., la bellezza è ritrovabile in un sentimento puro e fosco come quello della malinconia, scorto dal protagonista in una delle sue allieve, Vanina (Petrovna). Attratto da questo sentimento, il protagonista cerca di salvare la ragazza dalla paludosa condizione in cui alberga e da ciò che l’ha condotta a quello stallo. Possiede solo un po’ di amore, e se lo gioca tutto su Vanina, esattamente come accade nel retrobottega del bar in cui conosce un gruppetto di amici (Giannini, Salvatori, Merli) dediti, tra le altre cose, al gioco; i quali sono legati, in vario modo e a vario titolo, a Vanina. Glielo fanno capire subito: non vale la pena puntare tutto su un cavallo sciancato - sono soprattutto le donne (Rizzi, Massari, Valli) che cercano di farglielo capire. Ma lui non sente ragioni, è determinato e sulla bellezza e sulla salvezza non si scende a compromessi. Senza scomporsi troppo pone quesiti, fruga e unisce i punti.
È il ricordo di un’altra ragazza a spingerlo in questa direzione estrema: una ragazzetta morta suicida in giovane età, fonte di ispirazione per un libro di poesie pubblicato anni prima dal protagonista e alla quale egli ritorna col pensiero per “rifugiarsi” da tutto il resto - come sottolinea un’altra donna (Massari) vicinissima al protagonista, e che oscilla tra il bruciante desiderio e il desiderio di bruciare una volta per tutte (la quale non avrà poco peso sulle sorti del protagonista). È questa ragazzetta invisibile l’ombra fantasmatica che guida il protagonista: musa e vaticinio del futuro che incombe su una Vanina senza salvezza.
Vanina si porta dietro un passato imperdonabile, un’onta nei confronti della quale la nequizia provinciale non è mai indulgente: e anzi l’alimenta, ci si contorce dentro e la mette in rilievo senza lasciarla finalmente all’oblio.
Ne escono tutti male, le donne soprattutto: emblematica la figura (controversa) della madre di Vanina (Alida Valli); la quale, pur di sistemare la figlia, lascia che il fidanzato la maltratti e la tradisca: ma si sa che i valori borghesi si son mangiati tutto, autofagocitandosi.
È un film perfetto: il mare e i fendenti della tromba disperata e lancinante in sottofondo fanno il resto, e accompagnano i misurati movimenti macchina e le composizioni ben calibrate in un fermoimmagine su una provincia mesta e squallida, abbandonatasi alla meschinità e alla sopravvivenza del vivacchiare. I toni fanno pensare ad Antonioni, a Sartre, e saranno ripresi un anno dopo, senza protervia, da Scattini ne “La ragazza fuoristrada”: un film sempre sulla spietatezza della provincia, sul suo squallore, girato nella città di Ferrara.