Mi unisco all’entusiasmo di Saggiatore.
Possibile che io sia appassionato di western da più di venticinque anni e un film così l’abbia sentito nominare per la prima volta un anno fa quando ho letto il dizionario di Giusti? In questo caso i sapientoni della critica nostrana non hanno neanche la scusa del loro scarso interesse verso i western all’italiana, trattandosi di un film classicissimo, poco spaghetti, molto psicologico, curato e “di serie A” sotto ogni punto di vista.
La sceneggiatura di Di Leo è una variante de “Il tesoro della Sierra Madre”, ma con molta più ambiguità. Se nel classico di Huston fin da subito è chiaro chi sono i personaggi positivi e chi il cattivo (Bogart), in questo film è impossibile per lo spettatore parteggiare o identificarsi con chiunque. Tutti nascondono dei segreti e dei lati oscuri. E più che una storia di avidità, è una storia di amicizie tradite. Tantissime idee di classe (ad esempio lo scorrere del tempo nella miniera visualizzato attraverso una goccia che riempie un vaso) e gran finale amaro.
Capitani, prolifico e anonimo tuttofare del nostro cinema, forse non ci capiva nulla di western come sosteneva Di Leo, ma, poco importa se per incomprensione o per ricercata originalità, dirige un film unico nel panorama degli spaghetti. Il primo sparo echeggia dopo tre quarti d’ora di film! Neanche la più vaga ombra dell’influenza dei film di Leone nel disegno dei personaggi. Anche le poche ma notevolissime scene d’azione sono un miscuglio di classicità hollywoodiana e violenza nostrana.
E’ anche il caso rarissimo di western all’italiana che punta tutto sulla recitazione degli attori. Il poker di attori protagonisti è davvero eccezionale, e comunque tutti i personaggi, anche quelli minori, sono serviti da un doppiaggio eccellente.
Di tutti gli attori hollywoodiani alcolizzati e sfasciati che videro l’Italia degli spaghetti western come ultima spiaggia della loro carriera, Van Heflin è di sicuro il più sfasciato e alcolizzato di tutti (morirà infatti pochissimi anni dopo). Ma tanto è decrepito e gonfio da far paura, tanto più è perfetto nella parte di questo ambiguo e paranoico cercatore d’oro
forse assassino e traditore, ma su cui mai sapremo la verità.
Kinski, incredibilmente misurato, è luciferino e inquietante come solo lui poteva essere, qui sembra addirittura anticipare i personaggi che farà per Herzog. Bravissimo anche George Hilton, nei panni di un personaggio fragile, parte decisamente coraggiosa per l’epoca, dato che
si accenna neanche troppo vagamente ad un rapporto omosessuale tra lui e Kinski.
Faccia tipica degli spaghetti dei primi anni, messicano vero, ma con un’aria più da viveur di Tijuana che non da bandolero, Gilbert Roland azzecca “il” ruolo della sua carriera italiana, nella parte crepuscolare di un avventuriero minato dalla malaria. Incisivi anche Rick Boyd e Giovanni Scratuglia nella parte di due killer/avvoltoi (forse l’unico elemento veramente “spaghetti” del film) e Sonia Romanoff come prostituta dal cuore d’oro.
Che altro dire? Che le musiche forse sono un po’ troppo hollywoodiane, ma comunque molto belle. Occhio e croce anche la fotografia dovrebbe essere bellissima, ma il formato indecoroso con cui Rai Movie ha trasmesso il film questo lo lasciavo solo intuire.