Once Upon A Time In Hollywood (Quentin Tarantino, 2019)

Ho letto tutti i commenti e c’è un fondo di verità in ognuno.
Dico solo una cosa e forse mi ripeterò: a mio modo di vedere, Tarantino, non fa un “vero film” da Jackie Brown.
Obiettivamente in più di vent’anni non è riuscito a tirare fuori un soggetto convincente. Non sa scrivere. Ho perso il conto ormai dei film in cui non fa altro che ripetersi, sommando citazioni su citazioni, francamente un pò fini a loro stesse.
Detto questo, secondo me non è un film malvagio. Sono così tranchant con Tarantino proprio perchè è un regista che ho molto amato agli inizi e mi sarei aspettato di più.

10 candidature agli Oscar. E se come miglior attore Phoenix è vincitore praticamente sicuro (rassegnati, Leo…) , continuo a incrociare le dita per Quentin miglior regista. Sarebbe proprio ora…

Su 10 almeno 2 e azzeccatissimi ci sono stati.

Comunque ho visto il film solo questa settimana, al sicuro, da topic, spoiler, trailer ecc, goduria immensa, arrivare al finale senza sapere che ruotava tutto intorno al reale omicidio di Sharon Tate è stata un esperienza a dir poco extrasensoriale, al punto di rivedermi 3 volte il finale, cast decisamente stellare, a parte Michael Madsen che sembra sempre infilato a forza in ogni film di Tarantino.

Curioso ma tremendamente vero lo “smontaggio” di Bruce Lee, più caricaturizzato che altro tanto è vero che il film non è uscito in Cina per questo. Le condizioni erano di avere una versione decorticata del giovane drago, ma a quanto pare Tarantino ha rifiutato.

Segnalo che oggi alle 15:43 Cine34 trasmette Bersaglio Mobile di Sergio Corbucci.
Spezzoni del film in questione sono stati usati da in C’era una volta a Hollywood per rappresentare il fittizio Operazione Dyn-o-Mite di Antonio Margheriti con protagonista Rick Dalton nella sua parentesi italiana.
Inoltre è una ghiotta occasione di vedersi un film difficilmente reperibile altrimenti.

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Un messaggio è stato spostato in un nuovo argomento: Domenica 17 Tarantino ospite a Che Tempo Fa

Ho appena finito di leggere il romanzo… fantastico!

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Visto con colpevole ritardo qualche mese fa, ho lasciato sedimentare la visione prima di dire la mia. La mia posizione su Tarantino è molto chiara: gli sono molto affezionato e gli riconosco il grande merito di aver fatto conoscere il cinema di genere ad una generazione che difficilmente ne avrebbe avuto occasione.
Detto questo, da appassionato appunto, è chiaro che il giochino delle citazioni messo sistematicamente in scena ed estremizzato a partire da Kill Bill parte 1, mi possa anche divertire, specie se abbinato alla presenza di due attori come Di Caprio e Pitt, veramente efficaci nella loro interpretazione.
Detto quanto sopra, c’è poco altro.
Un grande regista che sa stare eccome dietro la mdp, uno che il cinema lo sa fare (cosa per nulla scontata), alle prese con un circo di macchiette e situazioni grottesche che hanno poca o nulla utilità rispetto alla sceneggiatura.
Mi pare ormai da un pò di tempo, che il processo creativo sia un “guidare nella nebbia” seguendo delle scene/visioni potenzialmente iconiche ma che nel complesso di un film anche piuttosto lungo, perdono del tutto la loro efficacia.
Non un film sul caso Tate, sul quale peraltro ho trovato di gran lunga superiore la serie Acquarius; non un film SUL cinema di genere perché paradossalmente se ne parla tanto ma si vede ben poco; nemmeno un film di indagine che forse sarebbe stata la chiave più accattivante nel complesso finale.
Spero che Tarantino non si ritiri dalle scene perché ci deve almeno un grande film. Personalmente lo attendo da Jackie Brown.

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Probabilmente risulterò impopolare ai più, ma il film a me è piaciuto molto. Anzi…azzarderei che è uno dei film che preferisco del regista.

Partiamo dal presupposto che Tarantino è il mio regista preferito, quindi sicuramente un po’ sarò di parte. Comunque, parlando nello specifico del film…credo che questo suo ultimo lavoro debba necessariamente essere capito e interpretato bene per poterlo veramente apprezzare.
Eravamo stati abituati negli anni a una tipologia di film tarantiniani ben precisi, e questo suo ultimo lavoro, su molti aspetti, si discosta parecchio dai suoi predecessori.
Tutta la storia di “Once Upon a time in Hollywood” è indubbiamente più lenta rispetto a un “Kill Bill” o a un “Django unchained” tanto per fare qualche esempio. Ma
Non scordiamoci il fine principale di questa pellicola, ampiamente dichiarato tra l’altro da Tarantino ancora prima della sua uscita. Quest’ultimo lungometraggio veniva presentato come la sua “personalissima lettera d’amore al mondo del cinema”.

L’intera vicenda (la storia di Rick Dalton, Cliff Booth e Sharon Tate), che apparentemente potrebbe sembrare un racconto fine a se stesso, ha in realtà il semplice scopo di fare da appoggio a un racconto molto più fine e articolato. Quello che Tarantino vuole raccontare non è realmente cosa accade ai personaggi, ma piuttosto cosa accade al cinema e nel cinema di quegli anni.
Attori americani in declino che vengono a cercare la fortuna e il rilancio della carriera in Italia, Hollywood e in generale l’America con le comunità hippie e le loro forme di protesta verso la società. E ancora, i movie-ranch (ormai abbandonati e caduti in disgrazia) che andavano molto in voga tra gli anni 40 e 50 nel periodo d’oro del western americano. I tratti caratteriali dei personaggi stessi aprono una parentesi interessantissima su quello che effettivamente erano gli uomini di spettacolo della Hollywood di quei tempi.
Ciò che realmente Tarantino racconta, è una realtà in uno specifico periodo storico, e i personaggi sono solamente i mezzi per raccontarla.
Ovviamente non dimentichiamoci che i fatti storici inseriti nel suo racconto sono stati volutamente alterati (ma come sappiamo Tarantino non è estraneo a questo tipo di azioni, basti vedere “Bastardi senza Gloria”). Ma ciò che conta, almeno per come l’ho interpretato io, è la veridicità del clima che si respira, le sensazioni, l’immedesimarsi con i sentimenti dei protagonisti, che altro non sono lo specchio di storie reali vissute da tanti protagonisti di quel periodo storico.

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Vorrei aggiungere due approfondimenti riguardo questo film, in particolare sul discorso stunt che è quello a cui sono più legato.

Cliff Booth, interpretato da un memorabile Brad Pitt, è senza dubbio uno dei migliori personaggi del film, più probabilmente il migliore in assoluto.
Proprio come la trama stessa del film che viene elaborata da Tarantino miscelando fatti reali a finzione, anche Cliff Booth, stando a quanto raccontato dal regista, è ispirato a diverse figure realmente esistite nel sottobosco del cinema hollywoodiano anni ‘60 e ‘70. Per esempio, il rapporto quasi fraterno tra Cliff e Rick somiglia molto a quello tra Burt Reynolds e la sua storica controfigura, Hal Needham. Una relazione, la loro, durata anni, tant’è che Needham, oltre a controfigurare Reynolds in svariate pellicole, lo ha anche diretto in qualità di regista.
Inoltre Reynolds era stato scritturato proprio da Tarantino per “C’era una volta a… Hollywood”, per ricoprire il ruolo di George Spann, ma purtroppo l’attore non fece in tempo a regalarci quest’ultima interpretazione e ci lasciò qualche mese prima.
La storia di Burt Reynolds e della sua amicizia con Hal Needham sono raccontate nell’interessantissimo documentario “I am Burt Reynolds” disponibile fino a un po’ di tempo fa su Sky onDemand e NowTV, non so se sia ancora disponibile in streaming attualmente.

La scena del combattimento tra Cliff Booth e Bruce Lee in “C’era una volta a Hollywood” è stata sicuramente una di quelle più discusse. A trainare il dibattito ci ha pensato innanzitutto la polemica scoppiata tra Quentin Tarantino e la figlia di Lee, Shannon.
Tralasciando la polemica, quello che più interessa sapere è quanto ci sia di vero nella versione di Quentin Tarantino.

Il personaggio di Cliff Booth, come accennato pocanzi, è il risutato di un collage di personaggi realmente esistiti, ma per quanto riguarda la scena che stiamo analizzando il riferimento è senza alcun dubbio uno soltanto: Gene LeBell.
Era conosciuto come l’uomo più forte vivente, il più duro di Hollywood. LeBell è stato due volte campione nazionale di Judo e un formidabile esponente del submission wrestling. Oltre alla carriera da atleta, LeBell ha lavorato a lungo nel mondo del cinema tra cui spicca il ruolo di stuntman nella famosa serie The Green Hornet, in cui Bruce Lee interpretava il ruolo di spalla dell’eroe: Kato.
LeBell fu avvicinato dal coordinatore degli stuntman per farlo confrontare con Lee, poichè quest’ultimo stava prendendo “a calci nel culo” l’altro stuntman e non riuscivano a convincerlo ad andarci più piano pur garantendogli che la scena sarebbe venuta bene lo stesso. Non riuscendo a placare il combattente di Hong Kong, il coordinatore Bennie Dobbins chiese a LeBell di bloccare Lee con una headlock, in modo da indurlo a essere più collaborativo.
Il piccolo drago, come racconta LeBell, una volta bloccato rimase veramente sorpreso, non se lo aspettava!
LeBell riferì inoltre che dopo essersi chiariti, Bruce Lee non era affatto arrabbiato, anzi, capì che mancava qualcosa al suo Jet Kune Do, che fedele alla filosofia del “be water” prendeva in prestito diversi approcci derivanti dalle arti marziali più disparate.
Sempre LeBell ricorda con affetto: “Ho frequentato Bruce Lee per lungo tempo, lui veniva nella mia palestra e viceversa. Gli ho insegnato judo e wrestling, mentre lui mi ha mostrato dei colpi e dei calci che uso tutt’ora nei miei film. Era un uomo meraviglioso e un grande artista marziale”.

Esempi fulgidi dell’amicizia tra Lee e LeBell sono due scene immortali della filmografia dell’attore: lo scontro con Sammo Hung in “I 3 dell’operazione drago” e il leggendario combattimento al Colosseo con Chuck Norris in “L’urlo di Chen terrorizza anche l’occidente”.
Infatti, in entrambe le scene, Lee sottomette gli avversari con due mosse apprese grazie al lavoro con LeBell.

Jene LeBell purtroppo ci ha lasciati lo scorso anno, ma il suo enorme contributo al cinema mondiale rimane vivo grazie ai film a cui ha preso parte come stuntman e come stunt coordinator.

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