Dopo gli esordi politicizzati di Sierra Maestra e l’attivismo di tutto il materiale documentario girato a sostegno del movimento operaio e della sinistra militante, dopo le sperimentazioni avanguardistiche messe in atto in un prodotto televisivo come Non ho tempo, Ansano Giannarelli giunge alla stagione della maturità proponendoci (o propinandoci?) un’opera minimalista, un film intimista ed introspettivo sulla crisi sentimentale ed affettiva di una donna di mezza età (Daniela Morelli, attrice sinora a me sconosciuta e che il destino ha voluto che io incontrassi per caso in due visioni consecutive).
Una palla al cazzo insomma
Il regista cerca di renderci più digeribile la pellicola inserendo elementi metalinguistici, mettendo in atto al tempo stesso sia una riflessione sul senso del cinema come specchio/riflessione/distorsione della realtà, sia una sorta di full immersion nel mondo del cinema degli addetti ai lavori, ambientando tutta la vicenda durante la 39° edizione del festival del cinema di Locarno: dalle proiezioni in Piazza Grande alle telefonate degli inviati che dettano l’articolo alla propria testata attraverso i telefoni della sala stampa; dalle proiezioni private nella saletta dei giornalisti alle conferenze stampa con gli autori dei film in concorso; dalle feste serali organizzate dal festival alle interviste televisive e radiofoniche.
La protagonista lavora per una trasmissione televisiva che si occupa di cinema ed è al festival per realizzare interviste; in questa occasione incontra una sua vecchia fiamma, un critico spocchioso, arrogante, presuntuoso ed insopportabile, che avrei preso a schiaffi già dopo 5 minuti ed invece mi è toccato sopportarlo per tutto il film. Tra di loro nasce un gioco nefasto nel quale lei gli racconta tutte le proprie disavventure sentimentali degli ultimi 15 anni e lui, giudicante e borioso, si cimenta nel riscrivere la storia narrandola in modo morboso su di un immaginario set cinematografico.
E mentre questo loro gioco destabilizzante va avanti le giornate di festival si susseguono. E così abbiamo partecipazioni, cameo e interviste di un sacco di personaggi del mondo del cinema, tanto critici (Morando Morandini, Gianni Rondolino) quanto registi (Vittorio Cottafavi, Mario Garriba) ed attori (Riccardo Cucciolla, Sandra Milo, Marina Vlady, …).
Purtroppo il film è davvero noiosissimo e per me l’unico vero motivo d’interesse è stato (ri)vedere i luoghi e le dinamiche del festival raccontati in modo così puntuale e da un punto di vista “dall’interno”.
Per il resto si tratta di un’introspezione psicologica che gira a vuoto intorno a sé stessa, un cinema minimalista che non sopporto e non amo per nulla.