Sa jana (Massimo Pupillo, 1981)

Paesaggi mozzafiato, tradizione che si incarna nel presente, vicende umane intense, echi fiabeschi e magici.

L’ultimo lungometraggio di Massimo Pupillo è un omaggio ad un mondo che sta scomparendo, alla sua storia, alle persone che lo abitano; raccontandoci la vita di un bambino in un contesto unico e speciale l’autore documenta in modo affascinante ma minuzioso la cultura di un angolo di mondo che sembra trovarsi in una dimensione altra ed esotica, mentre invece siamo proprio a due passi dalla “civiltà” delle industrie, delle autostrade, del progresso economico e tecnologico.

La vicenda si svolge a San Giovanni di Sinis, piccolo villaggio di pescatori in provincia di Oristano, dove il tempo sembra essersi fermato e la tecnologia fa capolino solo di quando in quando attraverso qualche dettaglio secondario (il motocarro del proprietario della taverna del paese, alcuni utensili di plastica, qualche altro elemento sparso…): gli abitanti sono tutti pescatori e sono gente poverissima, vivono in capanne costruite di legno e pagliericcio e pescano su barche a remi fatte di giunchi. La loro fonte di sussistenza è una laguna salmastra dove pescano di frodo, poiché in realtà il luogo appartiene a dei proprietari privati. Una natura ancora selvaggia, magnifica, tra canneti ed uccelli marini, brulle campagne e suggestivi nuraghe, vestigia di una antica civiltà che però ancora fa percepire vividamente la sua presenza ancestrale.

E nel 1980 questo posto davvero era ancora così, intorno il progresso avanzava a passi da gigante e lì si viveva in questo modo, come in una bolla spazio-temporale. Gli interpreti sono gente del posto, che riesce a dare un’autenticità ed uno spessore davvero concreti ai personaggi di questa vicenda.

Ad uno spunto narrativo fantastico (il piccolo protagonista che, affascinato dai racconti del nonno, crede nell’esistenza delle fate, che di nascosto aiutano e guidano gli uomini) si affianca una vicenda di lotta e rivendicazione di dignità e diritti, che vede contrapposti i poveri pescatori (che nessuna risorsa hanno se non la pesca nella laguna) alle guardie dei signori del posto, che consentono di pescare lì dentro solo ai pochi privilegiati a cui hanno rilasciato una licenza dietro lauto compenso. Un intero villaggio che non ha possibilità di sostentarsi se non attraverso il pesce, e che di conseguenza vive letteralmente di stenti.

Ma la pellicola racconta questo affresco generale dipingendo tanti ritratti vividi, veri, emotivi, delineando personaggi profondamente umani che lasciano una sorta di calore nell’animo dello spettatore, imprimendo in lui un’impronta del loro passaggio.

“Sa jana” è la fata, che emerge dalla tradizione popolare per diventare presenza concreta in grado di guidare il cuore e le azioni del piccolo protagonista.

La pellicola mi ha ricordato Le strelle nel fosso di Avati, per il modo un po’ magico ed incantato di mischiare tradizione e superstizione, vicende umane e leggende, fantasia e realtà.

Qui un breve articolo pubblicato in occasione di una recente proiezione del film nella zona in cui fu realizzato:
https://www.linkoristano.it/2021/08/27/stasera-appuntamento-a-solanas-con-stagno-e-pescatori-nel-film-sa-jana/

Segnalo questo passaggio che mi sembra impreciso

Nei titoli di coda in realtà sono riportati i nomi di molti degli interpreti locali, tra cui quello del bambino, ovvero “il piccolo Massimiliano Poddi”.

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