film adorabile, di una leggerezza e di una nostalgia infinite, pura panna soffice soffice e vellutata, quasi del tutto inconsistente; stupisce infatti come Vanzina sia riuscito a mettere assieme 92 minuti di pellicola sostanzialmente con niente in mano se non una spiaggia, una pineta e una vespa. Questi stessi argomenti vengono usati dagli spocchisnob professionals per demolire il film (unitamente all’accusa di volgarità gratuita, che non deve mai mancare quando si parla dei Vanzina, per contratto proprio), senza comprendere che la chiave del film sta tutta lì, nella delicata elegia languida e sentimentale di una stagione della vita, prima ancora che di un periodo storico dell’Italia.
La soavità di Sapore di Sale, a mio parere, consiste nell’aver messo in scena quel tipico umore adolescenziale o appena post adolescenziale “del mare”, quando hai davanti magari due interi mesi di vacanza, totalmente scevri di pensieri e preoccupazioni (appannaggio degli adulti), giorni unicamente rivolti ai flirt in riva al mare, alle risate con gli amici, insomma, un assoluto senso di libertà e gaiezza che, purtroppo, forse, mai più ritornerà in tutta la tua vita, una sorta di periodo ultimo, un limbo di ingenua felicità priva di filtri e minacce.
E quando il primo temporale di fine agosto spazza via il sole e la calura, tutto rientra nei ranghi, in attesa della prossima estate, nella speranza che nulla cambi e tutto rimanga come lo si sta lasciando.
La bellezza di Sapore di Mare non è tanto nella singola battuta, nel singolo dialogo, in quel personaggio o in quell’altro attore, ma nell’atmosfera, nell’humus, il ritratto paesaggistico di una stagione della vita (perduta, e per questo vagheggiata). Puro distillato di rugiada, e concordo con Giorgio nella commozione che affiora sul finale, nella “semplicissima” scena del gioco di sguardi dolce/amaro tra la Suma e Calà. Bella da far male l’allora diciottenne Isabella Ferrari, ma anche la cougar d’assalto Virna Lisi non scherza, all’epoca 54enne (ma nel film se ne dà 40 appena compiuti).
Da toscano bacchetto un po’ Carlo Vanzina; a parte che il film “versiliese” è girato a Ostia Lido, ma poi molti degli attori parlano in toscano o sono doppiati in toscano senza però che si abbia granché idea di come suoni realmente il cosiddetto toscano, secondo quell’andazzo un po’ grossolano per il quale basta aspirare la “C” ed hai un purissimo figlio della lingua di Dante. Per chi toscano lo è, ovviamente lo sforzo si sente e parecchio (Ennio Antonelli che urla “ti tronco”, come fosse Mario il Bagnino di Panariello è abbastanza ridicolo, così come i giovanotti del Bar Everest, uno meno toscano dell’altro), ma anche questa “tipizzazione” un po’ di maniera, rientra nel linguaggio vanziniano del film, ovvero poche preoccupazioni e tanta atmosfera, basta lasciarsi andare un po’ e non pensare che il mondo si sia fermato a Novograd.