The Duke of Burgundy (2014) di Peter Strickland

Dal regista di “Katalin Varga” e “Berberian Sound Studio”.
Un film di cui si è parlato poco poco, ma secondo me davvero notevole.

Troppe volte in anni recenti si sono visti film che hanno tentato di rifarsi ai fasti gloriosi del cinema alto e artistico degli anni '70, senza però mai riuscire a costruire nulla che non fosse altro che un omaggio fuori dal tempo. Dove la forma era onanistico piacere citazionista o strafottente rivisitazione arty.
“The Duke of Burgundy” è invece opera autonoma, universale, capace di raccontare un rapporto d’amore, prima ancora che di aggiornare il cinema surreale, elegante ed erotico dei tempi andati

A partire dai titoli di testa arrivando alla colonna sonora, la confezione del film ricorda il cinema degli anni '70, ma lo fa sempre con una contemporaneità di linguaggio che stupisce.
La ritualità del rapporto tra le due protagoniste evade rapidamente le rigide regole delle logiche servo/padrone, e diventa una radiografia di un amore destinato all’immobilismo, all’affettuosa sterilità.
L’aspetto che più mi ha colpito è che le due donne sembrano sempre di più diventare madre e figlia, con un’adulta che deve continuamente sottostare ai capricci infantili di una bambina diversa, bisognosa d’amore, ma incapace di riceverlo in modo tradizionale.
La villa nella quale si svolge gran parte della vicenda e la natura autunnale rimandano ad un mondo di grande bellezza, morente, ma ancora vivo, così come la lepidotterologia di cui sono studiosa e insegnante le due protagoniste tratta molte specie di farfalle in via di estinzione.
Il film di Strickland, al di là di qualche simbolismo di troppo (nel film ci sono solo donne; in mezzo al pubblico delle lezioni di lepidotterologia ci sono dei manichini), è stato accostato a molti autori - Bunuel, Borowczyk, Fassbinber, Bergman - ma rimane comunque un pezzo unico.

Magari c’è qualche limite, ma intanto in Inghilterra fanno questo mentre noi produciamo “Io e lei” della Tognazzi…

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