Thriller italiano e thriller americano differenze

Pongo un quesito al quale spero che gli utenti più esperti e acculturati (e devo ammettere che in questo forum ce sono, fortunatamente) possano rispondere: quali sono secondo voi le differenze/caratteristiche fra il thriller americano e quello italiano?

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Almeno negli anni settanta due differenze che spiccavano tra quello italiano e quello statunitense era la più massiccia presenza di sesso e violenza nel primo.

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Più cinismo, nel thriller nostrano. Più pessimismo, innanzitutto a livello esistenziale. Gli yankee cercavano il lieto fine ad ogni costo. Il cinema italiano, non necessariamente. Anzi. Cosa assai apprezzabile…:smiling_imp::cocktail::v:

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È vero. Pochi thriller USA hanno finali nichilisti. In qualche modo dovevano sempre consolarsi.

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Non è nemmeno questione di “nichilismo”. Basta un po’ guardarsi attorno, nel mondo, per rendersi conto che la ricerca del lieto fine ad ogni costo, è sovente cosa futile e risibile. Quasi sempre, lontana dalla realtà. Il cinema yankee ancora oggi, ha questa “fissa”. Narrativamente, posso anche approvare. Ma una volta uscito dalla sala, sono legittimato a pensare fra me "See, buonanotte. E chi ci crede…":no_mouth::relieved::thinking:

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Forse nichilismo è una parola un po’ forte, però mi piace. Ad ogni modo uno tra i finali più coraggiosi del cinema USA li ho trovati in due film interpretati tutti e due da Gene Hackman (attore straordinario). Parliamo di due capolavori: LA CONVERSAZIONE di sappiamotuttichi e BERSAGLIO DI NOTTE di Arthur Penn. Le interpretazioni di Hackman sono titaniche. Si tratta di due personaggi che più vanno a fondo e più non riescono a riemergere. In questo caso la parola ‘nichilismo’ ci sta tutta. Tra l’altro nel secondo film la diciassettenne Melanie Griffith mostra un seno da bloccare il respiro.

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Elementi già presenti nel filone del western all’italiana, dai quali il thrilling nostrano, almeno da Argento in poi, ha preso le mosse. Un ulteriore tratto di distinzione sta inoltre nell’aver trasformato luoghi quotidiani un tempo cornici ideali per commedie e/o paesaggi da cartolina utilizzati anche dagli americani (vedasi “Vacanze Romane” (1953) o “Gli amanti devono imparare” (1962)) in atmosfere da incubo in cui ambientare cruenti ed efferati delitti.

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A proposito di thriller yankee con finale ammirevole per coraggio e pessimismo, consiglio oggi come ieri “Arlington Road”. C’è un thread apposito.

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Altro thrilling che prende le mosse da atmosfere e stilemi italiani, girato guardacaso all’indomani dell’“uccello” argentiano è “Una squillo per l’Ispettore Klute” (1971) di Alan J. Pakula

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Forse come paragone mi sembra un po’ azzardato…

Ma io direi proprio una iattura.

Ciao!

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Nessuno ha messo il cuoricino sul mio intervento sopra. Non per il mio intervento ma per il seno di Melanie Griffith! :grin:

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Quello di Richard Fleischer, no?

Se ti riferisci ad “Arlington Road”, è di Mark Pellington.

Come si evince dal nickname che ho scelto, il thriller all’italiana è il mio terreno di caccia quotidiano e quindi rispondo molto volentieri al quesito di @Franzedge.

Allora il giallo nostrano, forgiato negli anni '60 da Mario Bava (La ragazza che sapeva troppo, 6 donne per l’assassino) e portato al successo nei '70 da Argento, fonde gli elementi della detection (il whodunit, l’indagine, la raccolta di indizi/testimonianze) con una violenza grafica esplicita destinata a provocare sgomento in chi sta guardando. Quasi sempre ambientati in scenari di matrice urbana, i gialli si sviluppano in realtà all’interno di “non-luoghi” dove le architetture delle città diventano fredde e irriconoscibili, al limite della metafisica dechirichiana tanto da risultare ostili e minacciose.

Passando ai personaggi, si può notare come spesso l’indagine vera e propria venga svolta da cittadini comuni e non dalle forze dell’ordine, ritratte come inette o al più marginali. Questi detective improvvisati procedono in autonomia alla ricerca del colpevole e a volte sono anche testimoni oculari del delitto ma, di frequente, per arrivare alla soluzione devono riflettere su un particolare visivo determinante eppure complicato da focalizzare nella sua interezza.

I temi della vista, dello sguardo e della memoria fallace sono molto importanti e ad essi va aggiunta la caratteristica tecnica della soggettiva, utilizzata per far immedesimare lo spettatore con i passi e le azioni del killer: quest’ultimo è l’antagonista fondamentale, il “baricentro negativo” iconico nel vestiario (impermeabile, guanti di pelle, cappello a tesa larga o comunque volto coperto) e feroce portatore di morte con armi esclusivamente da taglio come coltelli e rasoi. Le sue motivazioni vanno dalla follia a vari disturbi psicologici (spesso dovuti a traumi infantili) oppure, specie a fine anni '60, il movente aveva uno sfondo economico.

A grandi linee queste sono le peculiarità del giallo/thriller all’italiana della fase storica: nel tempo si sono poi creati dei rivoli come lo psico-thriller, le derive slasher, l’erotic thriller, il rape and revenge o gli accenti torture porn ma i veri e più autentici canoni rimarranno sempre quelli degli anni '70.

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Grazie a tutti per le risposte.
È un quesito che ha a che fare col film “Trauma” di Dario Argento e si è
generato nel momento in cui ho letto molto spesso (ma anche sentito) il commento (generale) secondo il quale “Dario Argento abbia diretto un thriller troppo americano”.

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Ah, scusa io mi riferivo a questo: L’assassino di Rillington Place n. 10 che mi piace tanto. Pensavo fossero basati sulla stessa storia ma non c’entrano niente, l’uno è Rillington mentre l’altro è Arlington… :laughing:

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Film completamente diversi, esatto…:smirk:
P.S. A proposito di Argento: pure lui, involontariamente (?) ha sempre fatto “l’americano”. Nel senso che già nei suoi gialli anni '70 infilava un lieto fine. Magari condito da abbondanza di sangue, ovvio. Però, a differenza di un Fulci e di Bava (giusto per fare un paio di nomi…) ambiguità e cattiveria, quando si trattava di concludere la storia, non gli appartenevano. Scaltrezza commerciale? Chi lo sa. Poco coraggio? Idem come sopra. Preferisco non indagare troppo…:shushing_face:

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Alcuni esempi di thriller italiani fatti “all’americana” per me sono L’amico d’Infanzia di Pupi Avati (volendo anche Il Nascondiglio), Visions di Luigi Cecinelli, La Stanza Accanto di Fabrizio Laurenti oppure, sconfinando però nel poliziesco/noir, il recente Il talento del calabrone.
Se si guardano questi titoli si vede la differenza tra il modus operandi all’italiana e quello più legato ad un’estetica e alle atmosfere statunitensi. Riguardo Trauma ("il Profondo Rosso a stelle e strisce appunto) è vero che si ravvisa un avvicinamento alla matrice thriller d’oltreoceano, ma i topoi elencati nel messaggio precedente sono comunque ben in vista e quindi a mio avviso rimane un giallo italiano a tutti gli effetti.

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Penso si stia parlando della magnifica stagione del thriller a cavallo tra gli anni fine sessanta e metà settanta. Il cinema industriale americano dell’epoca era molto imbrigliato dalla censura, ed a parte casi di indipendenti o come Brian De Palma che comunque venne dopo, sostanzialmente sesso e violenza erano molto controllate, quello che ci vedo di abbastanza diverso è la connotazione etico sociale, in poche parole la politica, mentre nel cinema italiano i promotori del crimine spesso erano personaggi afferenti al potere, benestanti avidi, gente integrata e un paio di volte addirittura preti, il cinema americano si concentrava più sui diversi e gli emarginati. Considerando che lo spettatore medio dei film italiani all’epoca era di solito un povero Cristo, vedere posti magnifici e case eleganti al di sopra delle proprie possibilità dove si vedono fortunati viziosi che si fanno a pezzi poteva avere una valenza catartica equilibratrice, ci poteva essere più partecipazione alla storia.

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