Sto montando quella che è a tutti gli effetti l’ultima intervista di Umberto Lenzi, quella dove ripercorre tutta la sua carriera e che sarà pubblicata con il blu ray di Roma A Mano Armata.
L’ho girata esattamente un anno fa (il primo febbraio 2017, per l’esattezza) ed è stata l’ultima volta che l’ho visto. Poi ci siamo continuamente sentiti al telefono ma questa rimane l’ultima volta che ci siamo abbracciati e mi rimane l’ultimo ricordo “visivo” che ho di lui, mentre chiude la porta di casa sua e noi entriamo in ascensore.
Tra l’altro ricordo che pensai distintamente che quella probabilmente sarebbe stata l’ultima volta che ci saremmo visti. Lui stesso me l’aveva preannunciato al telefono, mi aveva detto che era troppo debole, che non stava bene e che non voleva più fare interviste. E, scherzosamente ma non troppo, mi disse: “approfittane ora perché domani potrebbe essere troppo tardi”.
Dopo quella volta ci siamo sentiti mille volte al telefono e ho assistito impotente al suo inevitabile declino psicofisico. Gli chiesi diverse volte se potevo andarlo a trovare per fare due chiacchiere, mangiare assieme, fare qualcosa, insomma… Lui rifiutò sempre, una volta addirittura si incazzò: “Ma è estate, vattene al mare, che cazzo vuoi venirmi a trovare in ospedale!!”.
Non voleva essere visto in condizioni di difficoltà e posso capirlo senza problemi.
Mi vengono in mente certi dialoghi che abbiamo brevemente scambiato poco prima che se ne andasse. Ne ricordo uno in particolare dove lui mi disse - con un tono lamentoso che non gli avevo mai sentito prima - “Non riesco più a usare bene le gambe, sto perdendo l’uso delle gambe…” ed io stupidamente gli risposi “Ma dai, è che sei debole anche per le cure che stai facendo, adesso non pensarci…”. Lui allora sbuffò un po’ spazientito e disse, con un tono sereno: “Ma Federico… non lo capisci che sto morendo?” ed io non riuscii a dirgli nulla. Fu molto brutto ma cosa avrei mai potuto dirgli?
Ora che sto montando quest’intervista mi è successa una cosa che mi ha colpito.
All’inizio Umberto racconta una cosa su Jeff Chandler sulla quale avrei voluto sapere qualcosa di più e, per un riflesso che ho sempre avuto da quando ho avuto il privilegio di lavorare sulle edizioni dei suoi film, ho allungato la mano verso il telefono per chiamarlo e farmi raccontare meglio questa storia avvenuta sul set di “Vento Di Passioni”.
Così mi sono trovato col telefono in mano, come un cretino, perché mi sono reso conto che ancora non ho accettato del tutto il fatto che non potrò più chiamarlo, sia per cose del genere che per qualsiasi altra cosa.
E se da una parte sono felice di poter montare questa sua ultima intervista e di poter passare, in qualche modo, ancora del tempo con lui, dall’altra sento profondamente la malinconia per il fatto che questa sia davvero l’ultima perché a quel vecchio brontolone ho voluto davvero bene.
Quando monto una featurette sto sempre molto attento a come nomino il file del progetto perché poi è facile che si perda tra i mille progetti delle cose che faccio. In genere scrivo sempre il nome del film per intero, poi il nome degli intervistati, sempre per intero, così poi è più semplice trovare il file con la ricerca del Mac.
Poco fa mi sono reso conto che, senza pensarci, stavolta ho contravvenuto a questa mia regola e il progetto di questa featurette non si chiama ROMA_A_MANO_ARMATA_UMBERTO_LENZI ma semplicemente “Umberto” e, proprio perché è stata una cosa completamente inconscia, mi ha davvero fatto sorridere.