Da sempre mi appassionano quei film che riescono ad essere anello di congiunzione tra cinema sociale e cinema di genere, mi sembra davvero che abbiano una marcia in più.
Ho scoperto per caso dell’esistenza di questo Unreal dream ed ho voluto recuperarlo a tutti i costi. La tematica è quella di un gruppo di disperati che immigrano clandestinamente dalla Cina ad Hong Kong e finiscono nelle mani di contrabbandieri senza scrupoli, per poi fare una brutta fine tra prostituzione, rapine e sfruttamento di vario genere. Visto l’argomento mi immaginavo qualcosa di paragonabile al memorabile Lost souls di Mou Tun-Fei (regista di Men behind the sun) ed invece sono rimasto deluso.
Pur trattando una vicenda estremamente simile infatti Unreal dream è molto più superficiale e scolastico, i drammi dei poveri immigrati clandestini sono raccontati in modo stereotipato, non c’è pathos, non c’è empatia, non vibrano le corde emotive. Non per niente il regista non è autore di pellicole rinomate o celebrate, al più qualche fanatico del cinema bis hongkonghese potrà ricordarlo per l’horror nanesco Cannibal curse… Volgio dire, due pesi e due misure.
Il film si salva in extremis dall’oblio grazie ad un finale al fulmicotone pieno di azione ed esplosioni di violenza, con diverse sequenze crude e piuttosto gore, una svolta da CATIII tanto inaspettata quanto gradita. Per dare un’idea dei contenuti di questa adrenalinica conclusione, basti sapere che l’immagine con la quale la pellicola si congeda dagli spettatori è quella di una sanguinosissima evirazione a morsi (con tanto di freeze frame sulla faccia del malcapitato in preda alle convulsioni di dolore).