“Il modo ovvero lo stile espressivo, che e’ il “viatico” del contenuto , deve, per poter avere esso stesso valore, fondarsi su di un contenuto solido e valido. Se io vendo un panettone stantio incartato con carta stagnola luccicante e colorata, non ho venduto un prodotto di pregio: ho venduto un prodotto che appare pregiato.”
Qui mi va di dire la mia, non tanto sul regista in questione (troppo al di là delle mie modeste forze critiche), ma solo sul concetto espresso sopra.
Il cinema, così mi dissero e così ho constatato di persona, sarebbe l’arte in grado di contenerle tutte. Letteratura, pittura, scultura, architettura, poesia, cinema stesso. In un film entrano i gusti letterari, architettonici, poetici e così via di chi lo mette in moto. Non sempre dalla porta principale, vero!, a volte dalla finestra e senza manco l’invito. Non deve stupire quindi incrociare temi, impressioni o malcelati rimandi; qui come altrove. Un regista di solito legge, ascolta le opere altrui, assiste a spettacoli teatrali, dibattiti e tavole rotonde… Un regista fa comunque opera di intelletto e nessun intellettuale passa la vita confrontandosi esclusivamente con il vuoto pneumatico. Le arti, tutte quante, cagionano sul Mondo. Che poi lo si chiami Natura oppure Morte, questo non cambia nulla: è quella la pappa di cui si nutre l’Arte. Naturale quindi mettersi a raffigurare qualcosa su cui già in molti avevano cagionato a modo loro, tempo prima.
La Forma Ed Il Contenuto: Il Cinema Senza Buccia?
Il panettone di cui si parla sopra lo si consuma e, generalmente, ci si disfa della confezione. Buono o cattivo che sia, di un panettone esiste la fine (ok, a casa di Venticello tengono in credenza un Bauli Gran Mignon dall’83 aspettando di scodellarlo alla zia ricca, chè quando crepa lascerebbe una grassa eredità). Di un film quasi mai. Voi non ne divorate la trama (e tutta la cultura che ci sta dietro) e buttate via le immagini che la ricoprono. Un film vive del concerto, della simbiosi e del respiro di più parti. Il valore dell’opera filmica, quando viene considerata opera d’arte o capolavoro, si spinge ben al di là del valore della sceneggiatura o di una singola prova attoriale. Qui dentro chissà quanti film conoscete che sono diventati di culto, film che, se smembrati in ogni loro componente, non rivelano proprio alcunché di eccezionale. Eppure, come opere fatte e finite, si pongono come una sorta di Cometa a guida dei giovani (e meno giovani) Gaspare, Melchiorre e Baldassarre del nuovo cinema (vaccaboia sta storia dei Re Magi Negri sempre ce la piazzo neh?).
I francesi chiamano il regista “metteur en scène” e non sarebbe male fare la traduzione, dal francese all’italiano, di quelle tre paroline. Ve la fo io che alle medie ho studiato quella lingua con profitto e la prof mi invitava poi sempre a casa sua per le ripetizioni: “chi mette in scena”. Sarebbe il tizio che apparecchia, dispone e sincronizza il lavoro di tanti altri (vi pare poco?), mettendoci del suo. Quando apparecchiate con assoluta maestria (proprio come vi han insegnato all’alberghiera) la tavola perché il Marcellino viene a trovarvi e dovete fare un gran figurone, quando mettete giù i piatti a regola d’arte, pensate forse che quei piatti li si dovrebbe ridisegnare, ripensare ed intervenire sulla cultura popolare locale per ottenere una tavola che faccia batter le cigliona al vostro beneamato e succosissimo Marcellino? No eh? E così, immagino io, Kubrick s’è concentrato sull’illuminazione di ogni oggetto e personaggio, sui movimenti di macchina, su quei prodigiosi fish-eye che dilatano a dismisura lo spazio della violenza raffigurata, sui primi piani debordanti, sul rapporto grottesco fra il raffigurato e l’accompagnamento musicale etc. etc. etc. Non credo proprio che il regista abbia impiegato il tempo nel criticare il rapporto fra letteratura, società, violenza ed alienazione così come si era evoluto fino ai giorni suoi. Il suo contributo, comunque notevolissimo in assoluto, resta e rimane il suo film che fotografa una rappresentazione della violenza che, nel 1971, non ricorda nonni, bisnonni, prozii o trisavoli in grado di inficiarne la potenza. Qualcuno afferma che nemmeno i nipotini abbiano tirato fuori qualcosa di qualitativamente equivalente, ricordandoci di rapportare sempre un film al contesto temporale in cui viene partorito.
Per tornare al panettone ed alla sua confezione esulando per un momento dal cinema, mi permetto di rubarvi altro tempo.
Ma siete così sicuri di saper scorgere dove finisce la “buccia” (la carta del panettone) e dove inizia il contenuto, il cuore, ciò che rende notevole o meno un “prodotto”?
Ma siete così sicuri poi che si possano sempre “dividere”?
Monica Bellucci, se fosse zuccona come una capra, finirebbe di essere considerata un capolavoro di mediterraneità?
Una creazione di Pininfarina, se fosse spinta da un motore tecnologicamente fermo ai tempi dei faraoni, sicuri che non verrebbe esposta al MoMA ugualmente?
Se vi vendessero un panettone marcio, ricoperto però da un packaging creato dal Warhol, lo buttereste via?
Senza arrivare alle provocazioni della merda d’artista, rileggetevi alcuni miei interventi qui dentro. Ci trovate osservazioni degne di un genio? Non credo eh? E perché sti miei interventi sarebbero ritenuti notevoli da alcuni eh? Evidentemente, credo io, perché la forma è tale da annebbiare il contenuto o, meglio ancora, la forma diviene spesso il contenuto stesso ed il risultato è uno solo, non parti appiccicate assieme tanto per dar di conto.
La grandezza di un poeta, di un fotografo o di un regista, sovente sta proprio nel portarci sotto gli occhi cose che noi vediamo tutti i giorni. E’ proprio la “forma” con cui ci vengono presentate però, la “forma”, che è in grado di illuminarne significati, valori e colori come non ne avevamo mai visti, pur guardando noi quel soggetto tutti i giorni.
Crederete mica che prima del Sabato Del Villaggio nessuno avesse mai parlato del passaggio dall’innocenza alle disillusioni dell’età adulta vero!?!
L’Arte è interpretazione, non innovazione. Proprio perché, come ho già detto, si occupa di contemplare il Mondo e non di crearne uno nuovo.