In realtà il film dura un’ora e mezza tonda tonda.
Essendo un film-inchiesta, non sapevo che aspettarmi, credendo che per forza di cose il regista avrebbe dovuto cambiare registro rispetto ai suoi lavori precedenti, è invece è un film in puro Tretti style!
A principiare dagli attori, spesso persone comuni, frequentemente in possesso di forti doti antirecitative. Qui troviamo in un cameo il donnone protagonista di La legge della tromba e mi sembra anche il vecchino pelato che è per me la mascotte del cinema di Tretti, anche se pure lui in una particina. Comunque in generale la poetica che il messaggio è tanto forte che non è importante che venga divulgato con mezzi di qualità alta, tanto arriva lo stesso, pure qui è rispettata. E da questa incapacità degli attori come al solito scaturiscono gradevoli momenti comico-grotteschi, che però non inficiano la coerenza del film e l’immediatezza del messaggio, perchè contribuiscono anzi a dare quell’idea di verità, a contestualizzare il problema di cui si tratta in mezzo a gente vera, disperata, tragica (e agli occhi di uno spettatore tragicomica), ad un passo dalla poetica dei relitti umani di Ciprì e Maresco, che indubbiamente a Tretti devono molto.
Forse è proprio l’episodio con al centro l’attore famoso l’unico noioso e difficile da seguire, proprio per l’assenza delle caratteristiche di cui sopra.
Da notare inoltre come il film riesca a dipingere in modo spietato e veritiero la realtà del minuscolo paesello veneto, dove l’alcool è radicato nella cultura pur essendo palesemente per molti (troppi) una piaga sociale.
Tremendo l’episodio in cui l’alpino torna a casa dalla festa del corpo militare completamente sbronzo e violenta la figlia, e davvero shockante, poichè inaspettato, il finale claustrofobico psichedelico, in cui Francesco, protagonista del film (attorno al quale ruotano, più o meno direttamente collegate, tutte le altre storie di alcolismo narrate), ricoverato in ospedale in preda al delirium tremens ha visioni e allucinazioni terrificanti.
Altra caratteristica peculiare della poetica del regista, presente qui soprattutto nella prima parte del film, la critica all’invadenza della pubblicità, che plagia le menti e induce nella gente necessità che in realtà non ha (come dimenticare il mitico Doblock [o Doblò?] de Il potere?), o addirittura, come in questo caso, la istiga alla dipendenza cronica da sostanze nocive e, alla lunga, letali.
Un bel film, che coglie nel segno.