Film giorgiobrassiano per antonomasia, con uno stuolo di attori affetti da nanismo che bucano lo schermo.
Un evaso, dopo una fuga rocambolesca, si ritrova in un villaggio in abbandono nel mezzo della campagna, che è stato colonizzato da una comunità di nani che vive laggiù in totale autarchia, completamente isolata dal mondo. L’arrivo dello straniero innesca tutta una serie di dinamiche che stravolgono gli equilibri interni di questa bizzarra società, mettendo in discussione la leadership del loro capo (l’occhialuto energumeno che viene ritratto nel manifesto) e corrompendola col miraggio del capitalismo (ricchezze, guadagni, vizi, sfizi, sesso)…
Le intenzioni dell’uomo sono in realtà puramente utilitaristiche, e quando la società dei nani se ne renderà conto (pagando lo scotto delle conseguenze di aver seguito questo falso messia) la loro vendetta sarà crudele ed esiziale.
In realtà non ci sono scene esageratamente sopra le righe come invece immaginavo prima della visione; ciònonostante l’impatto visivo è potente perché questo gruppo di nani desperados da favelas è davvero iconico (suggestiva anche la descrizione nel dettaglio di alcune usanze e consuetudini della loro società): in particolare restano impressi il caratteristico e carismatico capo (sia nella versione “malavitoso” con cappellino, maglia a righe e occhiali neri, sia nella versione putto alato), le scene di corrida coi nani toreri, lo stupro e la caccia all’uomo finale.
La visione è stata ostica per il ritmo un po’ lento e per la copia poco buona, unicamente in lingua originale e con l’audio abbastanza sporco (parecchi dialoghi me li perdevo), ma vista la particolarità del contenuto è stata comunque un’esperienza audiovisiva suggestiva.
Il film è dedicato a tutti gli emarginati del mondo.