Charlie vive da solo in una appartamento che non lascia mai, neanche se volesse potrebbe farlo, dato che è affetto da un gravissimo caso di obesità. Assistito da una sua amica infermiera, aspetta la morte che ormai è prossima. Tuttavia prima di morire cerca di riallacciare i rapporti con la figlia che abbandonò ad otto anni e che, comprensibilmente, è risentita col padre.
Sostanzialmente tutto girato nello stesso ambiente, tradisce l’impianto teatrale dell’opera originaria dalla quale il film è tratto, questo dramma di Aronofsky.
Girato un po’ con il freno a mano tirato (forse anche per questioni di fondi) e magari, vista la ripetizione di alcuni momenti, un po’ lunghetto.
Nessuno di questi mi è sembrato un difetto grave e il film, come molti suoi altri, è un angosciante viaggio nella disperazione, nella follia e nell’autodistruzione, ma con una spruzzatina sopra di effetto strappalacrime che male non fa. Mi hanno colpito le musiche che - mi sbaglierò- mi davano la sensazione di una nave che solcasse le onde (il che richiamerebbe il più volte citato - nella pellicola - racconto di “Moby Dick”, ma magari sono stato solo suggestionato dalla sceneggiatura del film).
Se questo regista vi piace -secondo me- potete andare a colpo sicuro.
E mi e’ parso anche un trucco molto convincente: quando si mette in piedi la prima volta, accanto alla figura minuta dell’attrice che interpreta l’amica infermiera, sembra veramente una creatura enorme.
Direi che la statuina Fraser se l’è meritata tutta, visto ieri sera, non conoscevo l’opera teatrale da cui è tratto, ma la storia davvero semplice per quanto complessa riesce a scoperchiare il più nerboruto dei tendini dell’animo umano, impossibile rimanere indifferenti alla storia e a non crollare sul finale.
Un film completo, che ti fa ridere e ti fa arrabbiare allo stesso tempo, impreziosito dalla bravura degli attori, forse il personaggio della figlia un po’ troppo sopra le righe, ma chiudendo il cerchio ti rendi conto che deve essere così.
Bravissima Hong Chau, da un momento all’altro mi aspettavo portasse il menu
Il film non l’ho ancora visto. E credo proprio che, al più, lo recupero fra qualche mese in br. Non perché disprezzi a priori Aronofsky, e/o Fraser. Anzi, quest’ultimo, oltre ad essere azzeccatissimo nei blockbuster de “La mummia” e “Viaggio al centro della terra”, l’ho apprezzato anche per le sue doti attoriali. Rivedersi, prego, “Sbucato dal passato”, “Demoni e dei”, “The quiet american”, “Crash”. Per dire, in breve, che Fraser quando vuole è un VERO Attore. Meritevole di stima, e riconoscimenti. E senza dover indossare tute di gomma. Chi vuol capire…
La prova di Fraser vale il film, di un’intensità sconvolgente. Vista poi la prigione fisica in cui era costretto, è ancora più evidente come riesca a comunicare emozioni con il solo sguardo.
Il film è confezionato benissimo e nonostante la location unica mi andato avanti senza problemi anche se ieri sera ero al termine di una settimana lavorativa pesante.
La storia è effettivamente semplice e non offre (almeno a me) particolari spunti di meditazione. Se poi vogliamo trovare il pelo nell’uovo, il meccanismo dei particolari che si svelano nel finale non mi è sembrato impeccabile.
Anche il finale prevedibilmente emozionale, per quanto funzioni, mi è sembrato un po’ troppo “meccanico”.
Comunque è un bel film e, se non siete allergici a certi prodotti che nascono evidentemente in funzione dell’Oscar, ne consiglio anche io la visione.
Dopo The Wrestler (massacrato) e Il Cigno Nero (sempre alla ricerca della perfezione) , Aronofsky rinnova la sua “indagine” sul corpo umano, corpo che in questo caso risulta essere la prigione del protagonista. In un gioco di scatole cinesi, corpo prigione, casa prigione e scelta di girare in 4:3 che aumenta questa sensazione di prigionia (interpretazione personale). Charlie, in questi ultimi giorni di vita, tenta il riscatto con tutti i pochi personaggi che lo circondano, ma su tutto il film aleggia una sensazione di disperata solitudine di tutti i personaggi che secondo me è il nocciolo dell’opera.
Aronofski riesce comunque a mantenersi in equilibrio su un terreno decisamente difficile e, concordo con KG, nonostante la drammaticità dell’opera, le due ore filano via bene tra lacrime e qualche sorriso, così come concordo sulla ridondanza di alcune situazioni nella parte centrale del film. Decisamente meno daccordo quando dici che offre pochi spunti di meditazione.
L’interpretazione di Fraser è assolutamente magistrale e la statuetta strameritata. Il film nel suo complesso mi ha molto soddisfatto e lo trovo perfettamente in linea con la produzione del regista.
P.S. @SWAT se avrai figli adolescenti ti accorgerai di quanto la figlia del film non sia in effetti sopra le righe…
Effettivamente non ho descritto correttamente quello che volevo esprimere. Non è una questione di quantità ma di profondità. La mia impressione è di aver assistito ad un po’ di sterotipi: i guasti da assenza del padre, il ruolo castrante della religione, la vergogna del diverso, la redenzione finale.. Come però dico sempre, l’impatto che determinate situazioni possono avere su uno spettatore dipende, oltre che dalla sua sensibilità, dalla sua storia e dallo specifico momento che sta attraversando in quel momento. Io non sono rimasto particolarmente colpito ma non escludo che qualcuno lo possa essere stato.
Certamente ma comunque è già parecchio ingrassato di suo. Da notare o meglio sottolineare l’ipocrisia dei distributori italiani che hanno lasciato il titolo in inglese perché magari avranno pensato che chiamarlo ‘la balena’ avrebbe fatto ridere quando il titolo originale voleva marcare sullo stato psicofisico del protagonista. La balena nota come animale solitario e come animale enorme. Ma in quanti pensate sappiano che vuol dire ‘whale’?
Il titolo è la prima cosa che si presenta di un film e come tale deve essere immediato. Se si usa una parola che non tutti conoscono già hai perso parte del pubblico.