Tic Toc (Davide Scovazzo, 2023)

premesso che non credo proprio vedrò mai il film se non per caso (leggi: transito televisivo intercettato random a cena in casa d’altri) non per scovazzo in sé o per le sue dichiarazioni ma perché è un genere, un modus cinemandi e uno specifico tematico che proprio non mi interessano, appassionano né appartiengono, mi permetto di spezzare pindaricamente tre lancette a suo favore: la prima in virtù del suo episodio su sangue misto, una sorta di kebab all’angolo che è, assieme allo sforzo di spicchiosevic, la sola cosa che ne giustifica la tratta in mezzo agli altri corti: spigliato spiritoso fantasioso trash-pop e cheapo-nasty. intendiamoci, non scomoderei superlativi assoluti, ma la mano c’è tutta e lascia ben sperare su quel che potrebbe combinare a parità di giusti collaboratori, disponibilità di mezzi e adeguato budget. è la sola sua cosa vista, non so né posso quindi dire se sia stato un colpo di fortuna o d’ala in mezzo a tanta fuffa, o se viceversa tutti i suoi corti siano da bottiglia di champagne stappata e possano fungere da effettivo barometro per tiktok, ma per certo non mi è parsa affatto indegna. non quanto lo sono tutti gli altri episodi di quell’operazione almeno (quelli sì, davvero spernacchiabili).

la seconda è che di un prodotto si può, forse addirittura si deve, dirne che è pura merda liofilizzata DOPO averlo visto, mai prima. giudicare un libro dalla sua copertina o tapparsi aprioristicamente le nari davanti a un trailer tradisce solo scarsa lungimiranza critica e una piccineria di sguardo d’animo e di pensiero.

ultimo ma non ultimo, fare cinema, specie in un circuito svantaggiato come l’indie, è un lavoro faticoso. si caga sangue a fiotti, si è costretti a tempi da sfruttamento lavorativo da congo-belga, se non ci si può autoprodurre si deve quasi sempre rispettare una deadline impellente con l’infarto a tracolla, cosa che spesso non aiuta a emanciparsi dai risultati annosi che sappiamo. chi lo reputa un divertente cazzeggio, ignora evidentemente cosa significhi lavorare in tempi strettissimi e con retroscena produttivi deliranti a cose delicatissime e determinanti come il montaggio, la post-produzione, il sound-design e la colonna sonora, la scrittura di mdp. per tacere della regia che deve tenere assieme 1000 redini. il regista - anche quello che sceglie il cinema convinto di schivare la fresa - non è che un operaio in divisa; sarei anche sostanzialmente d’accordo che essere appassionato non equivale a essere bravo e competente né scongiura l’essere una mezza sega, ma un po’ più di rispetto non guasterebbe.

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