Selvaggio Est - Дикий восток - The wild east (Rashid Nugmanov, 1993)

FILM COMPLETO (eng subs)

Intrigante post-apocalittico sovietico a base di bizzarrie, condito con un po’ di salsa yankee ed abbondanti spruzzate surreali.

Il precedente film dell’autore, Igla, aveva una forte connotazione di genere, pur restando decisamente radicato in un contesto di realismo sociale tangibile, che trasmetteva tutta la precarietà e la grevità della situazione politica, l’angoscia che gli abitanti dell’Unione Sovietica prossima al collasso stavano vivendo in quella fase storica, in cui sembrava che non ci fossero prospettive per il futuro e che la strada che la nazione aveva imboccato portasse in un buio e lugubre vicolo cieco.

Qui invece l’Unione Sovietica è appena caduta, la sovrastruttura statale è franata, l’ambizione è quella di ricominciare a costruire sulle macerie fumanti ma le difficoltà sono tante, sembrano insormontabili. La metafora, va da sé, è il postatomico. Si tratta di un film di genere duro e puro, che se anche non disdegna alcuni momenti autoriali e saltuari passaggi poetici, non si cura di darci una rappresentazione realistica della società e della popolazione, preferendo restare nell’ambito dell’allegoria, raccontando lo scatafascio del sistema attraverso iperboli e ruspanti scene d’azione che si susseguono a pié sospinto.

Dopo lo scioglimento del circo nel quale militava (avvenuto a causa del conflitto bellico), una numerosa comunità di nani, i Solar Childern, cerca un posto dove stabilirsi; un posto selvaggio e desertico che intendono rendere rigoglioso ed ospitale col loro lavoro, per garantire un futuro florido alla propria dinastia, costruendo case e seminando campi.
Ma un gruppo di banditi motorizzati alla Mad Max vessa l’indifesa comunità, portando morte e distruzione. I nani allora assoldano degli spiantati mercenari per difendere la loro terra…

Se a livello iconico e contenutistico il riferimento esplicito è Mad Max (ma leggo altrove che alcuni hanno accostato la pellicola, a ragion veduta in effetti, anche a I sette samurai), il film di Nugmanov però non si limita a scimmiottare il modello ma va oltre, inserendo sequenze che denotano un dissacrante gusto per il grottesco, un fascino per la scena musicale post punk / rock / dark, una serie di elementi che possono essere interpretati in metafora per parlare della situazione particolare che stavano attraversando in quella fase storica i paesi dell’ex Unione Sovietica.

In particolare interessante notare che George Miller deve aver sicuramente visto Selvaggio Est, perché in Fury Road riprende l’idea del camion da guerra con a bordo il batterista che suona ritmi di battaglia incalzanti per caricare i punk-motociclisti da assalto.
Incredibile ma vero, il film è passato anche a Venezia.

Se in Igla attore protagonista ed autore delle musiche era Viktor Tsoi, leader dei Kino, in Selvaggio Est la colonna sonora è realizzata da Alexander Aksyonov, meglio noto come Ricochet, leader del gruppo post punk Obyekt Nasmeshek, nonché coniuge della vedova di Tsoi. Nella prosecuzione della tradizione inaugurata da Igla, Nugmanov affida a Ricochet anche un ruolo importante come attore (anche se non quello da protagonista), facendogli interpretare il guerriero alcolizzato Beatnik.

Secondo me il film non raggiunge le vette liriche di Igla ma è comunque molto gradevole. Mi chiedo se sia mai stato editato in digitale, dato che in giro si trovano solo diversi vhs rip (coi sottotitoli inglesi, giapponesi o senza sottotitolo alcuno). Magari @bastardnasum ne sa qualcosa in più, sulla scorta delle sue battute di caccia grossa nelle videoteche di mezza asia.

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Eh no, purtroppo no. Però il film pare intrigante assai. Senza averlo visto ma leggendo le preziose note di @Frank_n_Furter , alcune cose mi attraggono:

  1. innanzitutto l’ambientazione kirghiza che non è da tutti i giorni vederla al cinema e mi immagino spettacolare nella sua natura selvaggia e (non troppo) contaminata

  2. i nani protagonisti: potrebbe essere una allegoria non troppo esplicita sull’immagine che il paese ha (di sé stesso?) sul piano mondiale. Schiacciato dai giganti russo e cinese, ad un tiro di sputo da altri due giganti, quello indiano e pakistano e sicuramente tra le repubbliche più scarcassine e traballanti delle 5 dell’Asia centrale nate dalla dissoluzione dell’URSS. Senza dimenticare - a livello regionale - come Uzbekistan e Kazakhstan siano altrettanti altri giganti in comparazione, sia come dimensioni geografiche che economiche. Dei nani circondati da giganti, in tutti i sensi. La fuga… la fuga dal regime sovietico, la ricerca di una propria libertà o della propria identità, della propria dignità. Forse un sogno, una chimera, una impresa forse anche impossibile

  3. il contesto post-apocalittico: eh beh, insomma… Con il disfacimento dell’impero sovietico, le aree che più ne han sofferto - e ne soffrono tutt’ora - son proprio quelle dell’Asia centrale, ancor più delle repubbliche caucasiche. Per loro, dopo 80 anni di conversione forzata da millenari sistemi nomadici a popolazioni stanziali dediti a (fallimentari politiche di) agricoltura e industria forzate e monoproduttive ha già rappresentato uno shock culturale micidiale, la fine di sistemi millenarii basati veramente su altri tipi di organizzazione sociale. Basterebbe leggersi i libri di Hopkirk per avere un quadro meraviglioso e crudele di come l’Asia centrale viveva fino agli anni '20 del secolo passato, tra emiri e khan crudeli, tortre, schiavitù, lande completamente desolate dalle quali pochissimi uscivano vivi e nelle quali praticamente nessun occidentale aveva mai messo piede o tornatone vivo. Il post-1990 poi ha dato la mazzata finale a paesi che ancora oggi viaggiano a vista tra regimi autoritari che coniugano i vecchi sistemi di partito ad ancor più atavici sistemi di governo nuovamente risvegliati dall’indipendenza. Riesplodono conflitti etnici e di confine mai sopiti e che il regime di Mosca aveva solo artificiosamente fatto finta di risolvere: non dimentichiamo che fino ad esattamente 100 anni fa tutta l:Asia centrale età solo formalmente sotto il dominio russo: in realtà persistevano ancora i vecchi canati di origine mongola, per dire che il medioevo è finito da queste parti veramente pochissimi decenni fa. E l’incertezza politica di oggi, non sapere più chi eravamo, cosa siamo stati costretti a diventare e cosa invece diventeremo ancora adesso che c’è per la prima volta una indipendenza, un governo unico in ognuno di tutti questi paesi centroasiatici che mai c’è stato in millenni di storia: veramente uno scenario apocalittico perchè mai come in passato il XX secolo ha plasmato, modificato, manipolato e violentato questi popoli in modo così radicale, drastico, violento.

Insomma, uno scenario post apocalittico dannatamente reale se si osserva anche solo la storia di queste lande negli ultimi 100-120 anni. E l’abbigliamento post-punk potrebbe essere una allegoria anche della trasformazione dei costumi stessi che questi popoli hanno sperimentato: da quelli tradizionali alle divise di partito ai nuovi (in)formalismi della società capitalista moderna…

  1. la ricerca della terra rigogliosa: il ritorno alla vita pastorale o nomadizia come nei secoli passati e come nel DNA di ogni asiatico dell’Asia centrale? Un ritorno alla purezza della natura e ad una terra libera dai veleni che per 70 anni hanno ammorbato acque, aria, terra e vite per permettere la coltura forzata di cotone o l’estrazione di minerali rari che han portato danni ambientali spaventosi dal Mar Caspio fino ai piedi del Pamir? Potrebbe essere una chiave di lettura.

Fatto sta che sembra interessante

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